Con Trump al potere ci sarà una nuova Jalta?

L’assetto mondiale tra il ritorno delle nazioni e la mancanza di pace totale

di Mario Sechi | 15 Novembre 2016 ore 15:52 Foglio

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L’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca ha messo la parola fine al racconto del secolo breve (Eric Hobsbawm) che non se ne voleva andare, il Novecento. Qual è il nuovo inizio? Ripartiamo da Jalta. E da una foto che chiunque abbia frequentato un libro di storia moderna (ri)conosce: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Josif Stalin sono in Crimea, seduti, posano per rendere (quasi) eterna l’immagine del nuovo ordine mondiale. Churchill è intabarrato nel suo cappotto, stringe tra le dita della mano destra l’inseparabile sigaro cubano, Roosevelt, elegantissimo, ha una bionda sulla mano destra, Stalin indossa la divisa del condottiero, i baffi ammobiliati d’un lieve sorriso, gli stivali neri lucidi, mani giunte. Sono i tre vincitori della guerra: Regno Unito, Stati Uniti d’America, Russia. Fino al 1989 Jalta “regola” i rapporti tra le potenze, in mezzo, la Guerra Fredda. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 liquida il patto ma nulla lo sostituisce, Francis Fukuyama scrive che “la storia è finita”, comincia un ventennio di globalizzazione americana.

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Pax totale? No, è il nuovo inizio di un’altra storia: comincia la mattina dell’11 settembre 2001 con l’attacco alle Torri Gemelle di New York (primo choc americano), prosegue con la palude di sangue della guerra in Iraq nel 2003 (secondo choc americano), avanza con la crisi finanziaria del 2008 (terzo choc americano), cerca una risposta con l’elezione nel 2008 del primo nero alla Casa Bianca, Barack Obama (prima reazione), la pax è spezzata, è in corso una guerra finanziaria ed economica senza precedenti, la Cina diventa produttore seriale e primo esportatore del mondo, il commercio mondiale arretra per la prima volta dagli anni Novanta, l’Europa entra nella sua crisi di senilità senza saggezza, la navicella dell’Occidente si avvita con la Brexit del Regno Unito nel 2016 (seconda reazione) e va in picchiata con l’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti (terza reazione).

In mezzo, la perdita di reddito della classe media nei paesi ad economia avanzata, l’ascesa dei partiti populisti in Europa e un progressivo, silente, inesorabile rieccolo della storia: l’orso russo si risveglia dal letargo e Vladimir Putin gioca a risiko con il suo esercito ai confini dell’Europa e in medio oriente. Jalta non c’è più, sopravvivono le sue antiche strutture e forum di cooperazione, ma senza una missione chiara (vedere alla voce Nato), incertezza e smarrimento dominano lo scenario.

E’ il disordine mondiale fotografato da Henry Kissinger nel suo ultimo libro “World Order”, la ricerca necessaria e urgente di una nuova valigetta diplomatica piena di regole che rispondano alle domande della contemporaneità, un’idea comune che regoli il traffico impazzito delle nazioni che sono tornate al volante su una strada senza semafori e cartelli stradali. Regole accettate, consenso, equilibrio di forze, legittimità e potere. Chi le scriverà?

Prendiamo la foto dalla quale siamo partiti, torniamo a Jalta. Sostituiamo il volto (e l’abito) di Churchill con quello di Theresa May, primo ministro del Regno Unito con un piede fuori dall’Europa, la faccia (e i capelli) di Roosevelt con quella del presidente neoeletto Donald Trump; i baffi di Stalin con gli occhi di ghiaccio di Vladimir Putin. Sono tre sedie, in questo mondo ne serve una quarta per la Cina del Presidente Xi. Possibile? Necessario e urgente. Gli Stati Uniti sono di gran lunga la prima potenza mondiale, il Regno Unito (non a caso il primo invito di Trump è stato per Theresa May) è la portaerei dell’America nella vecchia e stanca Europa che ha bisogno di nuove e vigorose relazioni transatlantiche come non mai, la Russia è il giocatore spregiudicato (e efficace) dell’est Europa e del medio oriente, la Cina la superpotenza demografica, un esperimento sociale ad alto voltaggio e fatturato. C’è un fil rouge tra questi attori? Sì, il ritorno delle nazioni e l’evaporazione di ciò che era rimasto di Jalta, lo smarrimento e il popolo.

Trump è il prodotto del voto della middle class con il reddito decimato, la scelta di un’America fatta di trattori e fabbriche, farmers e blue collars, sveglie all’alba, immense distese di grano e mais, officine, catene di montaggio e colate d’acciaio infuocato; Theresa May è il frutto di un errore di calcolo di un leader (David Cameron) e la correzione in corsa di una deviazione della storia, è il ruggito onirico di un ex impero impossibile che sogna il ritorno del Commonwealth e si separa dall’Unione europea, ma con il desiderio di averne il massimo di alimenti, è l’isola d’Inghilterra che galleggia sui pozzi del mare del nord, la forza nucleare dei sommergibili Trident sotto il mare e il gin di Londra che si riversa sui banconi dei club della City in pericolo; Vladimir Putin è l’enigma del Cremlino, un cocktail micidiale di silenzio e azione improvvisa, la diplomazia del principe Alexander Gorchacov che ritrova il suo zar, un paese intrappolato nel permafrost, ghiacciato, alla disperata ricerca di un modus vivendi per non morire dentro, costretto a cercare vita fuori con i suoi eserciti per non spegnere il cuore della Grande Madre Russia; la Cina è Adam Smith a Pechino (splendido libro di Giovanni Arrighi), la fabbrica nell’epoca della sua riproducibilità, il miliardo che cresce, inquina, esce dalla fame, entra nella ricchezza, compra terra in Africa, espande la sua caccia fuori dai suoi sterminati confini e misteri, il tentativo di Xi di non disperdersi nella democrazia impossibile e tenere il mercato agganciato alla libertà condizionata di un titano che deve nutrire e si nutre dei figli.

Theresa May, Donald Trump, Vladimir Putin (e sulla quarta sedia, Xi) saranno la nuova Jalta? Dietro di loro non c’è ci sono gli ammiragli, i consiglieri, gli strateghi con molte stellette e cervello. Non c’è il ministro degli esteri Vyacheslav Mikhailovich Molotov, non c’è il generale George C. Marshall, non c’è il maresciallo Sir Alan Brooke, non c’è l’ammiraglio William Leahy. Dietro di loro ci sono popoli che non hanno mai visto la guerra, ma ne hanno goduto il frutto della pace, milioni di disoccupati e senza reddito in occidente, milioni di nuovi imprenditori e milioni di famiglie che vivono la loro rivoluzione industriale, la bolla immobiliare, lo spaesamento della campagna che si fa grattacielo senza villaggio e comunità. L’America di Trump? E’ sempre quella: la Bibbia e la Colt. Il Regno Unito? Quello che devi attraversare la Manica. La Russia? Una matrioska. Torna tutto. Manca solo una nuova Jalta.

Categoria Estero

Commenti

FRANCESCO DRESDA • 2 ore fa

C'è un convitato di pietra che occorre tener presente.

Nel 1989 crolla il muro di berlino (era già crepato), poi crolla il comunismo sovietico, fine della storia, secondo gli illusi illuministi.

C'era un altro capitolo di storia che si stava aprendo in maniera travolgente,

ma nessuno voleva vederlo.

La nazione islamica, la umma, si era messa (rimessa) in marcia.

Questa nazione non ha un capo di stato, ha lotte intestine, ma si presenta

in tutta la sua potenza numerica e con tutta la sua deterrenza ideologica-religiosa.

Khomeini ce lo aveva già detto chiaro e tondo.

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franco bolsi • 2 ore fa

Sechi si faccia un partito suo e

almeno il mio voto l’avrà. Da alcuni anni, diversi di noi, nei conciliaboli fra

picaia e costine al forno si domandano dove stia il bandolo della matassa. Il

novecento è sepolto e con lei Yalta. E’ sepolto il mito del multiculturalismo.

E’ sepolta la fine della storia dove è bello commerciare anche con Erdogan o i

sauditi. E’ sepolto. Punto. Curioso che nessuno, che io sappia, ha valutato che

la rivoluzione avviene nei paesi dove è nato il nuovo ordine mondiale. Ne hanno

visto gli effetti e si spera li correggeranno. “L’errore” di Cameron credo sia

stato proficuo perché ha fatto emergere ciò che esisteva, un po come Trump, uso

le parole di Cerasa, ha reso cosciente l’inconscio americano. Colt e Bibbia,

direbbe lei. Il nuovo ha un sapore vecchio, ma è più giovane dell’esistente, perché

poggia su terreni scivolosi. La classe dirigente giovane o vecchia (per

l’anagrafe) è improvvisamente

invecchiata qui e nel resto del continente. Ci vuole una nuova Yalta che tenga conto

delle mutate situazioni sociali e geopolitiche presenti. I nuovi nemici, i

vecchi amici e quant’altro. Quando avverrà è difficile da pronosticare, ma i

trattati internazionali periodicamente decadono perché obsoleti e si rinnovano.

Speriamo bene. Saluti Sechi e complimenti.

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