Opec, l'accordo può costare caro ad Arabia e Russia

L'intesa di Vienna per ridurre la produzione di greggio salvaguarda l'Iran. E scalfisce il dominio dei sauditi. Perché il taglio sia efficace diventa cruciale la collaborazione di Mosca. Che però teme il rialzo dei prezzi.

RICCARDO AMATI da Mosca, lettera43 1.12.2016

L'Opec ha tagliato la produzione petrolifera per la prima volta negli ultimi otto anni con l'obiettivo di sostenere i prezzi del greggio. Ha escluso Teheran dalla decisione, e per rendere efficace il piano si è affidata alla Russia, che dell'Opec non fa parte. Investitori e analisti si interrogano sulla credibilità del cartello degli esportatori di petrolio, che deve confrontarsi col cambiamento dell'industria energetica dovuto ai nuovi metodi di estrazione, oltre che con le tensioni geopolitiche che dividono Arabia saudita e Iran. Si tratta dei due membri più importanti, e sono nemici sia in una guerra per procura nello Yemen sia nel caos del conflitto siriano. Molte volte si sono messi d'accordo, nell'Opec, per prosaici motivi economici. Ma ultimamente sono inclini a darsi battaglia anche sui barili da produrre.

 

TAGLIATI 1,2 MILIONI DI BARILI.La conferenza dell' organizzazione riunitasi a Vienna ha raggiunto un accordo per diminuire la quantità di greggio immesso sul mercato di 1,2 milioni di barili rispetto al record raggiunto a ottobre 2016, consentendo però all'Iran di aumentare l'output fino al raggiungimento del livello precedente alle sanzioni internazionali per il suo programma nucleare, imposte nel 2006 e ritirate solo all'inizio del 2016. È la fine dell'esportazione senza limiti che dalla seconda metà del 2014 ha provocato un crollo di oltre il 50% delle quotazioni.

Opec

L'Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec) è stata fondata nel 1960 e riunisce 12 Paesi.

L'Opec combatte contro la Storia, i costi di produzione

del greggio hanno cambiato radicalmente i margini di profitto dell'industria petrolifera

I contratti più scambiati sul greggio Brent, punto di riferimento degli investitori sul mercato europeo, hanno subito aumentato il loro valore di oltre il 7%. L' attenzione deve essere concentrata adesso sul rispetto o meno delle quote fissate per i singoli Paesi, e soprattutto sulle decisioni della Russia, fuori dal cartello ma che produce quanto l'Arabia saudita: solo con un taglio del suo output l'accordo raggiunto dall'Organizzazione può avere un effetto persistente sui prezzi petroliferi.

«MOSCA NON HA FRETTA».L'analista della ''Renaissance Capital'' Ildar Davletshin spiega a Lettera43.it: «Non credo che Mosca abbia fretta di allinearsi alla manovra dell'Opec. La produzione russa potrebbe rallentare la crescita record vista negli ultimi mesi, ma niente di più». Secondo David Hunt, amministratore delegato della Prudential global investment management, che gestisce fondi per un totale di quasi mille miliardi di euro, l'Opec «sta combattendo contro la Storia, i costi di produzione del greggio hanno cambiato radicalmente i margini di profitto dell'industria petrolifera». Hunt in un'intervista televisiva ha criticato fortemente l'organizzazione per esser rimasta indietro rispetto a quanto avviene oggi nel settore.

Il taglio deciso a Vienna è in linea a quello prefigurato al summit Opec di Algeri alla fine di settembre 2016. È stato trovato un compromesso, dopo il muro contro muro tra Teheran contraria a tagli produttivi e Arabia saudita ferma nel chiedere che il Paese sciita partecipasse pienamente a un accordo, e vi si attenesse. Per Riad, numero uno per produzione e soprattutto per capacità produttiva, si trattava di ribadire il ruolo di guida nel cartello, recentemente messo in discussione da Iran e Iraq. In questa occasione ha convinto Baghdad, ma ha dovuto accontentare l'arci nemico sciita, che sta ricostruendo la sua industria petrolifera dopo anni di accesso limitato al mercato.

 

CONTI RUSSI «ALLO STREMO». Alla Russia si chiede di partecipare alla manovra Opec tagliando 400 mila barili giornalieri della sua produzione. «Il problema è che il presidente Putin vorrebbe farlo, per aiutare i conti pubblici allo stremo dopo un anno e mezzo di crollo dei prezzi petroliferi (circa il 50% delle entrate statali russe dipende dalla vendita di greggio, ndr), ma l'industria petrolifera russa è contraria», ha sottolineato Davletshin. Il braccio di ferro tra governo e potentati petroliferi che si nota ultimamente nella politica a Mosca si gioca anche sulla quantità di idrocarburi prodotti.

Nell'ultimo anno e mezzo, l'Arabia saudita ha deliberatamente agito per far scendere il prezzo del greggio, indirizzando l'Opec a produrre senza limiti: nessuna quota imposta. Motivo di quello che può sembrare un suicidio economico per i grandi e piccoli esportatori petroliferi: ovvero la necessità di Riad di difendersi dall'offensiva statunitense a colpi di barili estratti dalle scisti bituminose (in pratica, dalle rocce). Il metodo produttivo con gli alti prezzi di vendita del 2014 era diventato redditizio, e il greggio americano aveva invaso il mercato, attaccando la quota controllata dai sauditi.

COI PREZZI BASSI NIENTE "INVASIONE" USA. La caduta dei costi del greggio ha reso di nuovo economicamente sfavorevole l'estrazione dalle rocce, e "l'invasione" americana è finita. Una guerra che Riad ha vinto a un prezzo enorme: le minori entrate hanno messo in crisi i conti pubblici e quindi il sistema assistenzialista su cui si fonda l'organizzazione statale e sociale dell'Arabia saudita. Il debito pubblico è di quasi sette volte maggiore di quanto fosse alla fine del 2014. Resta il fatto che un prezzo alto del greggio farebbe tornare gli investimenti internazionali sull'offerta americana, a scapito della saudita.

Anche per Mosca rialzi importanti del greggio comporterebbero nel lungo periodo più guai che vantaggi. Perché in Russia si stanno sfruttando giacimenti 'maturi', dai costi di estrazione bassi. Non si è mai investito nello sviluppo di quelli più difficilmente raggiungibili, né nelle infrastrutture. Con prezzi più alti, e una maggior concorrenzialità dei barili estratti con costi più elevati, per restare al passo bisognerebbe metter mano a nuovi pozzi. Per i quali serve una tecnologia di supporto che non c'è.

«ALLA RUSSIA SERVONO INVESTIMENTI».La caduta di competitività e di quote di mercato sarebbe rapida e fatale. «Questo è effettivamente un problema», sostiene Ildar Davletshin. «Per essere competitiva con prezzi alti, l'industria petrolifera russa avrebbe bisogno di investimenti. Ma questi sono destinati ad andare verso i nuovi produttori: America, Australia. Anche se venissero ritirate le sanzioni per l'annessione della Crimea, la Russia resterebbe un Paese a forte rischio geopolitico, difficile per gli investitori».

 

«IL PREZZO NON RISALIRÀ COME NEL 2014». Il raggiungimento degli obbiettivi dell'accordo di Vienna dipende in gran parte da Arabia e Russia. Ma paradossalmente sia per per i sauditi sia per i russi prezzi petroliferi alti nel lungo periodo potrebbero essere controproducenti. «L'attenzione nei prossimi mesi sarà tutta nel capire se si produrrà effettivamente quanto deciso o si aggireranno le quote fissate», spiega Davletshin. Nella storia dell'Opec è successo più volte che Riad producesse più di quanto dichiarato in conferenza, per annullare l'effetto di una decisione presa per ragioni politiche o per sostenere solo momentaneamente il mercato. Quanto a Mosca, per due volte in passato ha promesso di sostenere decisioni Opec con tagli produttivi che poi non ha mai fatto. «Qualsiasi cosa dicano quei signori che negoziano negli alberghi viennesi, il prezzo del petrolio non risalirà ai livelli a cui era arrivato (oltre i 100 dollari il barile nel 2014, ndr)»: parola dell'investitore David Hunt, un uomo da mille miliardi.

Categoria Estero

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