Trump, un paranoico da operetta

Non è questione di orwellismo. Il jihadismo è combattuto poco e male, e tanti negano il suo legame con l’islam, ma dire che la stampa nasconde le stragi è roba da psichiatria della comunicazione alternativa

di Giuliano Ferrara 8 Febbraio 2017 alle 06:15

Commenti 2

Stiamo qui a trotterellare con i “de minimis”, a parte il Drago di Francoforte che galoppa, e intanto il presidente degli Stati Uniti, parlando con pardon, dice che la stampa “nasconde le stragi terroriste”. Ripeto: la stampa nasconde o minimizza le stragi terroriste. Ripeto, eccetera. C’è un grillozzo di seconda fila che si fa ridere dietro dicendo cose così tremendamente spassose a proposito di complotti internazionali, non ne ricordo il nome. E ci sono blog opachi di estremisti americani coccolati dagli uomini della attuale Casa Bianca che a questa torsione della comunicazione in “fatti alternativi” prestano la loro eco creativa. Ora, questo non è uso demagogico della paura, magari, è paranoia grave, fascista in quanto è anche da operetta, ma paranoia politica grave. Non è questione di orwellismo. Noi tutti sappiamo che il jihadismo è combattuto poco e male, che sul suo carattere fioriscono mistificazioni ideologiche di ogni genere, tutte negazioniste a proposito del suo legame con l’islam politico, cioè l’islam, ma se si afferma che la stampa nasconde le stragi jihadiste, siamo del tutto fuori controllo, entra in campo la psichiatria della comunicazione alternativa. Contro il jihadismo armato è necessaria una violenza incomparabilmente superiore, contro lo spaccio del falso come fatto, in un contesto di demagogia narcisista e di impellenza autoritaria, ci vuole la camicia di forza, e basta.

Qui abbiamo il miglior analista di istituzioni e politica, di gran lunga, il professor Sabino Cassese, che ci ha spiegato bene ieri la sregolatezza della presidenza cesarista americana, preoccupato delle sue radici anche nei mandati di George W. Bush e di Barack H. Obama ma allarmato della sua attuale deriva tendenzialmente catastrofica, appena sostenibile, ma chissà per quanto, dal meccanismo dei pesi e contrappesi del sistema costituzionale americano. Con un Cassese che spiega, non si può trotterellare. Unica obiezione. Quando Cassese elenca i sintomi del cesarismo presidenziale, sulla scorta di studi seri che ha fatto tradurre in Italia, menziona varie circostanze (colonizzazione della burocrazia, estrema polarizzazione a partire dalle primarie, usurpazione presidenziale di prerogative del Congresso, abuso dei sondaggi e altre). Tra queste mette anche il ruolo dei soldi nelle campagne elettorali. Bè, questo, non in Cassese specialmente ma nelle sue fonti, è il riflesso del moralismo di sinistra americano (non solo quelli che festeggiano ogni anno il complenno di Chomsky, come in “Captain Fantastic”, molti altri). In realtà i soldi sono sempre stati un veicolo democratico-liberale degli interessi in conflitto, e grandi battaglie sono state fatte dai conservatori liberali per impedire che le campagne elettorali americane diventassero “austere”, per così dire. Avevano ragione a battersi.

Categoria Estero

Commenti

carlo schieppati

08 Febbraio 2017 - 08:08

Trump preoccupa anche me. Ma l'americanismo del nostro Direttore Emerito sta passando il segno. La stampa non nasconde le stragi jihadiste quando succedono da noi. Ma se ne frega quando le bombe scoppiano nel Vicino Oriente o in Africa. L'informazione sulla battaglia di Aleppo è stata tutta a senso unico e ha documentato un profondo "disprezzo per la verità". Poi vabbè, Trump è un cialtrone e il tiro a segno contro di lui è diventato uno sport mondiale.

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RispondiAlessandra

08 Febbraio 2017 - 08:08

Insomma, finalmente, siamo arrivati anche noi vecchi foglianti ai livelli di demonizzazione dell'avversario politico tipo quotidiano di Largo Fochetti, per cui oggi " L'impostore" della Casa Bianca era ieri il "pregiudicato" di Palazzo Chigi, mentre l' "arbiter elegantiarum" Rossella può chiamare "borgatara" la sindaca Raggi in confronto alla" Gran Signora" di Parigi.

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