Non sono i burattini Haftar e Serraj a decidere le sorti della Libia

Si sono fatti immortalare tronfi, fingendo di avere stabilito una riconciliazione. Ma dietro il generale ci sono gli Emirati Arabi. E la pacificazione è in mano a Putin. Il resto sono solamente menzogne.

CARLO PANELLA, articolo da Lettera43.it 4.5.2017

Due burattini: questa è l’impressione più forte della photo opportunity che ha immortalato l’incontro ad Abu Dhabi tra il generale Khalifa Haftar e il presidente libico Fayez al Serraj. Tronfi e sicuri di sé (in particolare quel vecchio arnese della Cia che è Haftar), i due fingono di avere deciso una riconciliazione libica che – se mai vi fosse - sarebbe effettivamente “storica”. In realtà, in cuor loro sanno benissimo di essere stati costretti obtorto collo a quella stretta di mano e a quelle tre ore di colloqui che l’hanno preceduta dal mitra puntato sulle loro nuche dai rispettivi padrini. In particolare Haftar, che è stato costretto all’accordo dai suoi mandanti degli Emirati Arabi Uniti, senza le cui armi e cospicui finanziamenti le sue forze e lui stesso nulla avrebbero potuto fare in Cirenaica e Libia.

 

HAFTAR COSTRETTO A CEDERE.Haftar, si badi bene, è stato letteralmente piegato a quest’incontro e a quest’accordo che aveva cercato di evitare con ogni mezzo, tanto che due mesi fa non si fece problemi a offendere personalmente il presidente egiziano Fattah al Sisi, che l’aveva convocato al Cairo assieme a Serraj, il quale a differenza del generale libico si presentò. Evidentemente, però, le pressioni esercitate oggi su Haftar dagli Emirati sono state ancora più decisive di quelle a suo tempo tentate ad al Sisi, tanto che il leader militare della Cirenaica ha dovuto cedere. Si vedrà nei prossimi giorni quanto questo accordo reggerà, ma è indubbio che sia importante perché testimonia come le pressioni esterne in Libia siano determinanti sul frastagliato quadro interno.

Uno scenario che rimanda alle enormi responsabilità sulla deriva della crisi libica da ascrivere a Barack Obama. Il suo totale abbandono del quadro libico a seguito della uccisione del suo ambasciatore Chris Stevens a Bengasi l’11 settembre 2012 e le sue disastrose relazioni con il presidente egiziano al Sisi (da lui letteralmente gettato nelle braccia di Vladimir Putin) hanno infatti impedito che Washington potesse esercitare su due suoi alleati storici, quali appunto l’Egitto e gli Emirati, quelle forti pressioni che li obbligassero alla ragione. Con ogni evidenza, la opportunistica delega sulla crisi libica che Obama ha dato all’Italia e all’Onu non vedeva in campo due entità forti, in grado di fare pressioni decisive sui padrini arabi dei secessionisti della Cirenaica.

PUTIN PACIFICATORE DECISIVO. Così, la crisi libica – anche grazie all’assenteismo ingiustificato di Obama - si è deteriorata sino al parossismo e soprattutto ha visto entrare in campo un nuovo attore: quel Putin che ormai ha sostituito il ruolo di grande potenza per un mezzo secolo esercitato dagli Usa in Medio Oriente e che oggi è sponsor decisivo della pacificazione tra Bengasi e Tripoli.

Estero

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