I francesi possono comperare tutto ciò che vogliono in Italia ma non viceversa
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L'unione di paesi nell'ambito della Ue può essere mantenuta se, per i paesi che ne fanno parte, vige il criterio della reciprocità
di Pierluigi Magnaschi , 15.6.2017 da www.italiaoggi.it
L'unione di paesi nell'ambito della Ue può essere mantenuta se, per i paesi che ne fanno parte, vige il criterio della reciprocità. Ad esempio, in base al principio della libera circolazione dei capitali, dovrebbe essere possibile, per i capitali di un paese Ue, poter operare liberamente in tutto lo spazio dell'Unione. Il principio è stato accolto dalle imprese (e dallo stato) francesi che infatti hanno fatto man bassa di imprese di primo piano e anche strategiche in Italia. Il guaio (per noi) è che i poteri pubblici transalpini fanno sbarramento all'acquisto di asset societari da parte delle imprese italiane in base al motto che «quel che tuo è mio e quel che è mio resta mio».
Purtroppo a questa inaccettabile pretesa, come al solito (anche se con la lodevole eccezione, sia pure in zona Cesarini, del meritevolissimo ministro dell'economia Carlo Calenda) il governo italiano non ha mai opposto alcuna vera resistenza mentre il sistema politico, sindacale e mediatico italiano ha sempre dimostrato di essere insensibile a queste operazioni unidirezionali che un paese con un briciolo di dignità e di cura dei suoi interessi dovrebbe rigettare con indignazione.
I francesi, ad esempio, hanno messo le mani sulla Bnl con la Bnp. Hanno acquistato, senza che il governo italiano ci mettesse becco, tramite il Crèdit Agricole, la Cassa di risparmio di Parma-Piacenza-Vigevano (trasformandola in un gioiello) e adesso puntano ad acquisire anche le banche di Cesena, di Rimini e di San Miniato. Sempre l'Agricole (attraverso Amundi) ha acquistato da Unicredit (il cui prestigioso a.d. è francese) la società Pioneer, che opera nel settore strategico del risparmio gestito. Inoltre l'a.d. delle Assicurazioni generali è un altro francese. Mediobanca, il cui azionista principale è l'Unicredit, gestito, come dicevamo, da un francese (abilissimo, per carità) ha come azionista irrequieto e in crescita anche Vincent Bolloré. Intanto anche Telecom è diventata francese. Mentre Luxottica si è fusa con Essilor: l'azionista di riferimento, per il momento, resta l'ultraottuagenario Del Vecchio mentre il cuore (anche borsistico) diventerà sempre più francese. In campo lattiero i francesi si sono assicurati il gigante Parmalat. E sono in corso operazioni ostili nei confronti di Mediaset.
Mentre i francesi scorrazzano senza giustamente trovare ostacoli nel sistema finanziario, bancario e industriale italiano, l'italiana Fincantieri, d'intesa con il precedente presidente francese François Hollande era subentrata nei cantieri navali francesi Stx, rilevando la quota dei soci coreani falliti. Per non cedere la maggioranza alla Fincantieri fu stabilito che la società di Giuseppe Bono avrebbe rilevato il 48% di Stx mentre la Fondazione Cr di Trieste avrebbe acquistato il 7% del capitale di questi cantieri. Già questa era una bella limitazione, anche se solo formale. Infatti a una società di un paese fondatore della Ue e terzo come importanza economica nel Vecchio continente, la Francia non concedeva nemmeno le condizioni che erano state accordate ai coreani!
Ma il bello (anzi, il peggio) deve ancora avvenire. Infatti pochi giorni dopo essere stato eletto, Emmanuel Macron (sì, proprio quello che si autodefinisce cittadino dell'Europa, che fa suonare l'Inno alla gioia prima della Marsigliese e che crede come pochi, dice lui, nell'economia di mercato) sbatte per aria il tavolo dell'accordo faticosamente raggiunto dalla Fincantieri con il suo predecessore e ingiunge agli italiani di tenersi ben al disotto la quota di maggioranza e di accettare come socio addirittura un cliente del cantiere, la società Msc, il cui direttore finanziario era Alexis Kohkler che adesso, guarda caso, è diventato il capo del Gabinetto di Macron. Di fronte allo stupore della Fincantieri (ma non dell'establishment italiano che, anestetizzato da qualche Légion d'honneur distribuita nei gangli giusti, non reagisce a nessuna provocazione transalpina) un giornalista ha chiesto: «Ma cosa dice l'Italia?», Macron ha replicato: «Ne ho già parlato con Gentiloni!», e ha chiuso lì. Non ha spiegato quindi che cosa gli ha risposto il premier italiano dopo aver appreso questa ingiustificabile ingiunzione. E forse è stato meglio così. Per fortuna che, nel frattempo, a mettere le mani sul ministro dell'economia è arrivato Calenda che non è certo un rissoso ma non è anche uno abituato a farsi mettere i piedi sulla pancia dalla Francia.
Se si vuole che lo spirito europeistico cresca nei fatti, la Francia deve quindi darsi una mossa perché questo suo approccio guatemalteco nei confronti di un'Italia sinora comportatasi da vile, non è di oggi, ma rappresenta una sua costante storica. Ad esempio, l'economista Francesco Forte, diretto collaboratore di Enrico Mattei, in un suo libro uscito proprio in questi giorni, si dice sicuro che Mattei sia stato ucciso da un attentato e che questo sia stato francese. «Mattei», scrive Forte, «stava per concludere un accordo globale per l'esportazione di idrocarburi dall'Algeria. L'avevo saputo in via riservata perché tra le contropartite c'era anche il mio lavoro: sarei diventato consulente del ministero delle Finanze di Algeri». Forte prosegue: «L'accordo dava moltissimo fastidio ai francesi. All'Eni non abbiamo mai avuto dubbi che i mandati dell'assassinio fossero loro».
In modo più chiaro e inequivocabile è andata l'aggressione, spinta, a livello internazionale, dalla Francia contro la Libia di Gheddafi. La motivazione sotterranea, ma anche evidente, era che il dittatore libico stava perfezionando delle mega intese economiche con l'Italia sul piano delle forniture petrolifere, della ricerca degli idrocarburi e dei grandi lavori pubblici (che davano fastidio alla Francia) e sul piano della domiciliazione finanziaria dei suoi averi in Italia (che dava molto fastidio all'Uk). La violenta deposizione (tramite assassinio) del premier libico, ha sospeso gli accordi con l'Italia e ha dato la stura all'immigrazione selvaggia che la Francia, raggiunto l'obiettivo che si era proposto (bloccare gli affari con le imprese italiane), respinge al confine di Ventimiglia, come se questa alluvione umana (da essa specificamente provocata) fosse un fenomeno ad essa estraneo, da imputare solo all'Italia che invece, in questa tragedia, ha la sola responsabilità di avere le sue coste vicine alla Libia.
Questa operazione contro l'Italia fu a lungo reclamata e sostenuta presso Sarkozy, allora presidente francese, da un cosiddetto maître à penser parigino, Bernard-Henry Lèvy che, ridotto oggi a una macchietta in Francia, continua a venire utilizzato come strapagato editorialista principe (pur non avendone il merito) dal Corriere della Sera anche se si deve dire che è un acquisto che risale alla direzione di de Bortoli ma che non si vede perché debba proseguire, se ci fosse un minimo di orgoglio nazionale.
Di fronte a tanta tracotanza nazionalistica, non solo l'Italia ha sempre chinato il capo e fatto finta di non vedere e di non sentire. Anzi, ha risposto anche con una generosità immotivata che ha messo sul groppone delle nuove generazioni, imponendo agli studenti delle scuole medie che hanno da tempo capito che la lingua straniera che ti apre oggi le porte del mondo è l'inglese, lo studio del francese come prima lingua, con una percentuale offensiva della decenza che non si verifica in nessun altro paese europeo. È questo un pedaggio inaggirabile (si è arrivati a sorteggiare gli studenti costringendoli con la forza a studiare il francese), un pedaggio di tipo ottocentesco che l'Italia fa pagare ai suoi ragazzi (specie a quelli che l'inglese non lo possono studiare privatamente) per tenersi buona la Francia che poi risponde, invece, nel modo che si è visto e con una casistica che sarebbe infinita.
Macron, se vuole costruire l'Europa unita deve cambiare atteggiamento: la sua entrata a gamba tesa sull'operazione della Fincantieri nei cantieri Stx, non è un bell'inizio di gioco. Spetta adesso all'Italia far apprendere Macron le regole che, prima che legali, sono di buona creanza.
Pierluigi Magnaschi


