Due pesi e due misure in Svezia

Il crocifisso.“Offende la sensibilità dei musulmani”, si era sentita dire la conduttrice Siv Kristin Sællmann. Rea d’esser andata in onda con addosso un piccolissimo ciondolo a forma di croce

LUG 13, 2017  ELENA BARLOZZARI, da www.ilgiornale.it

Donne con il velo, donne senza velo. Attorno ad una scelta cosiddetta “libera” l’Occidente s’interroga ormai da tempo.  Hijab, Niqab, Chador, Burqa e poi anche Al-amira, Shayla e Khimar. Giusto o sbagliato? Chissà. Una cosa però è certa: con il passare del tempo abbiamo preso le misure di quella stoffa. Abbiamo imparato cioè a conoscere “il mondo dei veli” ed a riconoscerne le differenze.

Da qualche anno a questa parte i copricapo della tradizione islamica, nelle loro multiformi declinazioni, sono diventati familiari. Soprattutto da quando le donne velate hanno iniziato ad affollare i nuovi ghetti del Vecchio Continente. Sembra di essere a Mosul oppure a Raqqa ed invece non ci si è mossi dal proprio quartiere o, ancora peggio, dal divano di casa. In molti casi infatti basta accendere il televisore per fare un corso accelerato di cultura islamica. Lo sanno bene i telespettatori di Svezia e Norvegia. Da quando il servizio d’informazione pubblica “Nrk” ha affidato le previsioni meteo ad una giornalista con il capo coperto, non possono più programmare una gita fuori porta o una giornata in barca senza imbattersi nel niqab. Ed ogni massaia nordica saprebbe senz’altro avvolgersi quel tessuto intorno al capo con la stessa rapidità con cui mette in tavola la zuppa. Pensare che la “Nrk” è la stessa azienda che quattro anni fa mise al bando i simboli religiosi. A partire, guarda caso, dal crocifisso.

“Offende la sensibilità dei musulmani”, si era sentita dire la conduttrice Siv Kristin Sællmann. Rea d’esser andata in onda con addosso un piccolissimo ciondolo a forma di croce. Quel pendente, però, non era però sfuggito agli esponenti della comunità islamica di Oslo che avevano presentato una formale lamentela all’emittente norvegese. “Quel simbolo – dissero – offende l’Islam”. E la povera Sællmann venne messa di fronte ad una scelta: o il ciondolo o il lavoro. Sicuramente meno coraggiosa e ispirata dei primi cristiani, rinunciò ad immolarsi sull’altare del telegiornale optando per la seconda ipotesi. Per lei, in fondo, quella croce era solo un regalo acquistato dal marito e, per giunta, pure a Dubai. 

Sono passati quattro anni da quella vicenda ed il tubo catodico ci rimanda l’immagine di una donna che ci racconta il meteo di domani. Con o senza sole, però, il suo capo resta scrupolosamente coperto. Proprio come prescrive il Corano che alle donne raccomanda di “coprire i loro ornamenti”. Chi protesta? Chi si lamenta? Chi si lagna? Nessuno. E se qualcuno che non teme l’accusa di islamofobia dovesse mai decidersi a farlo, la giornalista musulmana accetterebbe di scoprirsi la testa con la stessa arrendevolezza con cui la sua collega cristiana ha messo la croce nel cassetto?

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