Dopo le elezioni tedesche il duo Merkel-Macron partirà in quarta per rifare la Ue? E l'Italia?
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I due, sia pure per motivi diversi, si intendono. E, in ogni caso, sono costretti a intendersi.
di Pierluigi Magnaschi, 8.9.2017 da www.italiaoggi.it
Fra poco più di due settimane, il 24 settembre prossimo, si svolgeranno in Germania le elezioni politiche, nel corso delle quali (il pronostico è unanime) verrà confermata, per la quarta volta consecutiva, Angela Merkel come cancelliera. Si ricompone quindi, tra l'altro in modo decisamente rafforzato, il motore europeo tedesco-francese che, durante la presidenza francese di Hollande, era stato decisamente depotenziato dalla figura sbiadita del presidente transalpino. Invece, con la conquista dell'Eliseo da parte di Emmanuel Macron (che, oltre che essere, almeno a parole, un decisionista moderno e innovatore, è anche sicuramente, in questo caso, un fuoriclasse nelle relazioni internazionali), dopo Macron, dicevo, è cambiato completamente lo scenario politico europeo che, in questi ultimi mesi, è stato dominato (almeno come gesticolazione) da Macron, visto che la Merkel era impegnata a casa sua a vincere le elezioni.
I due, sia pure per motivi diversi, si intendono. E, in ogni caso, sono costretti a intendersi. La Merkel che è a capo del paese egemone in Europa, anche se non può dirlo, è vivamente preoccupata dalla crescita eccessiva del ruolo della Germania in Europa. Da una parte (come tutti i leader politici tedeschi) né è orgogliosa. Ma, dall'altra, sa perfettamente (al pari degli altri politici tedeschi) che il resto dell'Europa, sia pure a quasi settant'anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, è ancora traumatizzato da cosa ha combinato, non il solo Hitler, ma tutti i tedeschi sotto la guida di Hitler. E quindi resta diffidente nei confronti di Berlino anche se, realisticamente, oggi, la Germania è il paese meno interessato dai rigurgiti della destra estrema e xenofoba. Non è giusto perciò diffidarne, ma le cose stanno così.
Di conseguenza, la Germania (come del resto ha fatto sistematicamente sinora, sotto i suoi vari governi, i più diversi) non pensa di esercitare in prima persona, e quindi sfacciatamente, l'egemonia europea che le spetterebbe, perché teme i possibili rigurgiti degli altri paesi contro la sua sovraesposizione. Da qui la necessità, da essa sempre sentita, di esercitare una sorta di duopolio europeo assieme alla Francia che gli consenta di attenuare la sua leadership ancora imbarazzante.
Anche se questo duopolio è l'esatto opposto, a ben vedere, dello spirito europeo. Purtroppo questo duopolio non è nemmeno implicito e sottotraccia, ma viene addirittura esibito pubblicamente, in sempre più inaccettabili vertici franco-tedeschi, alla vigilia di incontri comunitari. Anche se non è vero (ma purtroppo è vero), questi incontri a due, prima degli incontri a 27, dimostrano che Berlino e Parigi si mettono d'accordo prima, fra di loro, e poi somministrano, al resto della combriccola (che, non dimentichiamolo, costituisce la maggioranza economica e demografica della Ue), la minestra da loro cucinata, in base, ovviamente, alle loro esigenze. Nessuno Stato infatti è, per definizione, altruista. Nel senso che punta, sempre, a ottenere tutti i benefici possibili. Con l'eccezione della sola Italia che, essendo un paese a parte, disdegna, non si sa perché, di perseguire l'interesse nazionale. E si vede infatti com'essa è ridotta.
I vertici franco-tedeschi risalgono a molto tempo fa. Furono inventati ai tempi di De Gaulle-Adenauer. Tempi strapassati. Quando era la Francia a rappresentare in Europa e nel mondo (vedi Consiglio di sicurezza dell'Onu) una Germania ancor ancora del tutto impresentabile perché i ricordi dei campi di sterminio nazisti erano ancora troppo freschi. Non solo, la Germania era ancora divisa e occupata militarmente dalle potenze alleate che avevano battuto il nazismo (fra le quali c'era appunto, anche se in gran parte arbitrariamente, pure la Francia). Allora, il bimotore era franco-tedesco e non, come oggi, tedesco-francese. Non solo, questi vertici coincidevano con «l'Europa degli stati» di memoria gollista. L'Europa disegnata dal generale De Gaulle non era infatti una Unione com'è adesso. Ma una confederazione nella quale quindi i singoli stati conservavano le prerogative più importanti. La Ue di oggi quindi non dovrebbe tollerare bimotori come quelli tedesco-francese che dimostrano palesemente un'egemonia di due paesi sugli altri 25 che non è né democratica, né accettabile.
In tutti questi anni, però, mentre paesi come l'Italia pisolavano ostentamente a Bruxelles (l'unico ministro italiano capace difendere efficacemente, in tutti questi anni, gli interessi nazionali a livello continentale è stato il dc Giovanni Marcora, al quale l'agricoltura italiana dovrebbe essere ancora riconoscente) in tutti questi anni, dicevo, la collaborazione fra Parigi e Berlino (un tempo era Bonn) si è andata sensibilmente rafforzando. Questi due stati infatti, da tempo, si scambiano anche i loro più brillanti funzionari pubblici. Persino nelle ambasciate dell'uno ci sono spesso diplomatici dell'altro.
Fra i due paesi quindi, oltre al comune interesse egemonico sull'Europa, c'è anche un'integrazione alto-burocratica dalla quale gli altri paesi europei sono, di fatto, esclusi. L'Italia, per negligenze passate e a causa anche della sua lunga storia, è stata tagliata fuori da questo duopolio. Avrebbe avuto bisogno, vent'anni fa, di ministri come Padoan, Minniti, Calenda, moltiplicati per quattro. Gente cioè capace di dire dei no ma anche in grado di cercare dei sì, abili nel tessere alleanze internazionali, in base a un know how politico che non si improvvisa e che non si sviluppa né nelle cellule comuniste né negli oratori parrocchiali.
Adesso quindi il percorso dell'Italia è tutto in salita. Anche perché, è inutile nascondercelo, gli interessi del duo tedesco-francese divergono da quelli italiani. Come dimostrarono volgarmente Sarkozy e la Merkel nel vertice di Nizza, quando diedero un sarcastico benservito al premier italiano Berlusconi davanti alle telecamere di tutto il mondo, come preludio-assaggio della rovinosa impennata dallo spread che, non appena Berlusconi fu sostituito dal premier gradito ai due, tornò al suo vecchio livello, anche se i conti dell'Italia non erano, nel frattempo, migliorati. A dimostrazione che, quando interessa a loro, Germania e Francia sanno usare, senza la minima esitazione e sicuri dell'impunità, i colpi sotto la cintura nei confronti dell'Italia intesa come loro pungiball. Un'entità cioè che prende le botte senza riuscire a restituirle, se non per inerzia.
L'Italia però, in tutto questo, ci mette del suo, visto che galleggia, spensieratamente, su un debito pubblico che presto, purtroppo, attirerà ogni ulteriore colpo basso. Mentre i politici nostrani si stanno dividendo puntigliosamente poltrone che, fra poco, non varranno più niente. Come quella della Mogherini. E non è con Di Maio che usciremo dalla strettoia nella quale siamo finiti.
Pierluigi Magnaschi


