Catalogna: anatomia della Cup, estrema sinistra di governo

I riferimenti ad Allende e Che Guevara. L'anti-capitalismo esasperato. Il radicamento sul territorio. Viaggio alle radici della formazione che ha sostenuto Puigdemont. E che ora lo critica.

PAOLO MARTINI, 26.10.2017 da www.linkiesta.it

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Il governo catalano presieduto da Carles Puigdemont è un esecutivo di coalizione. Si regge infatti sull'alleanza tra il listone elettorale Junts pel sì (Insieme per il sì), una formazione politica che alle elezioni catalane del 2015 metteva insieme partiti di centrodestra e di sinistra uniti dalla parola d'ordine "indipendenza", e la Cup, Candidatura di unità popolare. Junts pel sì alle urne non raggiunse il 40% dei voti riuscendo a conquistare solo 62 seggi. Il parlamento catalano è formato da 135 membri e dunque per governare aveva bisogno un alleato, ovviamente indipendentista. Cioè la Cup. La Cup nelle elezioni del 2012 aveva ottenuto un risultato storico: spendendo meno di 100 mila euro per la campagna elettorale riuscì a conquistare circa 125 mila voti, il 3,5%. In termini di seggi, 3. Fu così che una formazione politica di estrema sinistra, anti-capitalista e anti-atlantica, fortemente radicata sul territorio riuscì a entrare nel parlamento catalano. Già il nome, quell'“unità popolare”, è un riferimento al governo presieduto da Salvador Allende all'inizio degli Anni 70 in Cile, poi stroncato dal colpo di Stato di Augusto Pinochet.

L'AGO DELLA BILANCIA DEL GOVERNO. Nel giro di tre anni, alle elezioni del 2015, quei 125 mila voti diventarono oltre 300 mila, l'8,25%: i 10 seggi indispensabili a Puigdemont per formare un governo. L'ascesa di Puidgemont fu possibile solo perché, dopo mesi di stallo, la Cup esautorò di fatto l'allora leader di partito Arturo Mas che deve essersela legata al dito visto che, nelle ultime settimane soprattutto, è tornato all'attacco del gruppo parlamentare accusandolo di voler dettare le mosse dell'esecutivo pur avendo solo 10 seggi. È innegabile però che la Cup sia da sempre stata l'ago della bilancia del governo catalano. Il Financial Times per esempio nel novembre del 2015, quando la Regione si preparava al referendum, notava come nella risoluzione approvata ci fosse «chiaramente» la sua «impronta».

PROGRAMMA BASATO SULLA SOLIDARIETÀ. Formazione movimentista, la Cup promuove un programma economico basato sulla solidarietà. Il suo indipendentismo è dunque diverso da quello propugnato da Puigdemont perché è associato non solo alla lotta con Madrid ma con «le istituzioni capitalistiche» e con il sistema economico dominante. Il partito al suo interno è organizzato in gruppi di lavoro aperti anche ai simpatizzanti: da quelli sulla sovranità economica e tecnologica a quelli sull'internazionalismo, sull'anti-militarismo, e sui diritti civili Lgbt. La visione della Cup è ben esemplificata dal comunicato pubblicato all'indomani della strage del 17 agosto con cui la Cup espresse la propria solidarietà alle 16 vittime condannando al contempo «tutte le forme del terrorismo fascista frutto della logica internazionale del capitalismo», respingendo «tutte le interpretazioni razziste e classiste» finalizzate solo ad «approfondire il processo di repressione e militarizzazione della società».

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Per alcuni aspetti la Cup ricorda il Movimento 5 stelle, almeno quello delle origini: è infatti caratterizzata dal limite dei mandati elettivi (una legislatura per i deputati, due per gli eletti locali) e ricorre ad assemblee di militanti per stabilire le votazioni in sede istituzionale. In altre parole, si fonda su una democrazia orizzontale. Un esempio: la decisione di non sostenere Arturo Mas alla presidenza, perché paladino del neoliberismo e fumo negli occhi per un movimento anti-austerity, fu presa in una assemblea generale cui parteciparono tutti i 2900 militanti. Con la stessa modalità, il partito decise di appoggiare Puigdemont. Ad annunciarlo in Aula, nel gennaio 2016, fu una delle leader, Anna Gabriel, che si presentò indossando una t-shirt con una scritta dell'Ezln, l'Esercito zapatista del comandante Marcos.

RAPPORTI TESI CON PUIGDEMONT. Gabriel spiegò che con Puigdemont, chiamato per tutto l'intervento per nome, Carles, si sarebbe aperta una «legislatura di rottura». Aggiunse però che il presidente aveva 18 mesi per cambiare marcia. L'ultimatum, però, è scaduto. I rapporti con Puidgemont si sono fatti più tesi tanto che il 10 ottobre scorso, quando il presidente catalano ha proclamato a parole l'indipendenza, per poi congelarla aprendo però a improbabili trattative con Madrid, i rappresentanti della Cup sono andati su tutte le furie. Anche perché non erano stati consultati prima dell'intervento del presidente e in Aula non avevano applaudito. Qualche settimana prima del voto la Cup aveva diffuso un paper in cui ribadivano la loro posizione fochista: cominciare la rivoluzione dai piccoli fuochi, dai municipi. Un omaggio, in questo caso, a Che Guevara, convinto che da piccoli focolai di rivolta se ne potessero sviluppare altri.

IL NODO DELLE ELEZIONI ANTICIPATE. Ora, con l'avvio delle procedure ai sensi dell'articolo 155 della Costituzione spagnola, che commissaria di fatto presidente e vicepresidente della Generalitat e vieta al Parlamento catalano di eleggere un successore, anche la Cup si trova davanti a un bivio: o si prosegue con la formale Dui, la dichiarazione di indipendenza, o si va verso elezioni anticipate, per prevenire (questo pensano i socialisti spagnoli, per esempio, ma non Rajoy) l'applicazione dell'articolo 155. Secondo la Cup questa mossa sarebbe una sconfitta perché di fatto sarebbe Madrid a convocare le elezioni e non Barcellona. Ma – anche se i suoi leader non lo ammetteranno mai - non è detto che le elezioni anticipate non convengano alla Cup che propone da giorni di organizzare mobilitazioni non violente e di disobbedienza civile contro la centralizzazione e il «genocidio nazionale e culturale» che Madrid starebbe mettendo in atto. Capitalizzare questo movimentismo, ed ergersi difensori dei diritti civili, può pagare in termini di consenso.

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