In un Venezuela senza cibo e medicine Maduro va incontro a un plebiscito

Oggi il voto. L’opposizione si è spaccata e ha deciso di boicottare le urne. Molti dei leader sono scappati all’estero per sfuggire alla repressione. Il Paese è al collasso e nei supermercati arrivano solo merci di bassissima qualità. Chi non riesce a farsi curare all’estero ha il destino segnato

EMILIANO GUANELLA CARACAS 20/05/2018 www.lastampa.it

Alexandre Hernandez apre la porta della sua casa a Bello Monte, quartiere della classe media di Caracas. Cammina lentamente, parla con difficoltà e mostra subito la speciale macchina portatile che gli serve a calmarlo quando arrivano gli attacchi. Ha 42 anni e da sei soffre del morbo di Parkinson. Da tre anni dirige l’associazione dei malati venezuelani, che sono più di 36.000 e non riescono a trovare le medicine necessarie. La crisi economica e l’iperinflazione (8000% all’anno secondo il Fondo monetario internazionale, Fmi) ha svuotato le farmacie e lo Stato li ha abbandonati a sé stessi. «Ogni settimana qualcuno della nostra associazione muore nell’indifferenza generale. Ed è così anche per i pazienti oncologici, i trapiantati, i malati di Hiv e molti altri. Per il governo siamo un costo insostenibile». Una scatola da 24 pastiglie di Sinemet nella vicina Colombia costa 12 milioni di bolivares: 12 euro al cambio nero, ma l’equivalente di un anno di stipendio minimo secondo l’ultimo aumento elargito dal presidente Maduro. Alexandre e la sua associazione ricevono mensilmente dei pacchi donati da gruppi d’appoggio in Spagna, ma quello che arriva non basta per tutti. La settimana scorsa i medici dell’Ospedale dei tumori di Caracas hanno portato i loro pazienti più piccoli in piazza, denunciando il completo abbandono della struttura di cure oncologiche più importante del Paese.

La crisi diventa catastrofe

Il destino per centinaia di migliaia di persone è segnato; chi non può farsi curare all’estero, muore. L’impennata dei prezzi negli ultimi mesi è stata surreale e la gente sta soffrendo la fame. Un chilo di riso costa mezzo stipendio, uno di carne arriva a quattro milioni di bolivares, quanto guadagna un impiegato in due mesi. In Venezuela non si produce ormai nulla e nei supermercati arrivano prodotti importati di bassa qualità a un costo proibitivo; pasta turca, fette biscottate dal Messico, fagioli e lenticchie dalla Colombia. L’unica alternativa sono i mercati statali, con i prezzi calmierati, ma dopo due o tre ore di fila si porta a casa pochissimo.

Lo Stato distribuisce delle «borse dell’emergenza» con riso, zucchero, pasta, fagioli; dovrebbero durare per un mese, ma per una famiglia di quattro persone non bastano per due settimane. Per riceverle è obbligatorio presentare il «Carnet della Patria», una specie di carta d’identità parallela che stabilisce la fedeltà al governo socialista. Secondo le cifre ufficiali ce ne sono poco più di sei milioni, tanti quanti i voti sicuri del chavismo nelle elezioni di oggi. Il governo giustifica tutto con la «guerra economica» architettata da Washington con la complicità dei governi di destra dell’America Latina e il placet della Ue. Maduro parla del «bloqueo» (embargo) come se si trattasse di Cuba. Un discorso che fa presa sullo zoccolo duro dei suoi sostenitori. Come i giovani del collettivo di Caricuao, un sobborgo alla periferia di Caracas, che ho seguito durante il comizio finale della campagna elettorale, sull’Avenida Bolivar.

La generazione nata e cresciuta con Chavez giura fedeltà assoluta alla «Rivoluzione bolivariana». «Il comandante - spiega Josè – ci ha insegnato che si deve cercare sempre l’uguaglianza e che dobbiamo restare uniti nei momenti più difficili. I nostri nemici non sono quelli dell’opposizione, ma le forze esterne che li guidano e che cercano di boicottare il nostro socialismo». Maduro se la vede oggi con tre candidati oppositori, il più quotato dei quali è Henri Falcon, ex chavista, che ha disertato l’appello all’astensione dei principali partiti anti-chavisti, sicuri che le elezioni non si svolgeranno con regolarità. Dopo aver stravinto le legislative del 2015 il capitale politico dell’opposizione si è dissolto e la gente non sa più cosa fare. Maduro ha esautorato il Parlamento, sostituendolo con l’Assemblea Costituente e i dubbi di brogli sono più che fondati perché controlla la giustizia elettorale.

L’opposizione in fuga

Gli errori dei suoi rivali sono stati enormi e oggi molta gente non si fida più di loro. Hanno prima cercato di destituire il presidente, sono scesi in piazza, poi hanno provato a dialogare con lui e alla fine hanno gettato la spugna chiamando alla disobbedienza civile. Molti dirigenti sono emigrati, il vuoto politico è enorme. Qualcuno, sottovoce, si augura un intervento militare esterno. «L’astensione - spiega Falcon nei suoi comizi – non serve a nulla, l’unico modo di rovesciare questo governo è batterlo alle urne». Nel frattempo, il grande esodo continua; secondo i calcoli più conservatori due milioni di persone hanno lasciato il Paese negli ultimi 6 anni. L’unica cosa certa è che le divisioni fra gli oppositori aiutano Maduro. Lontano dai consensi di Chavez, è praticamente sicuro di vincere oggi, assicurandosi altri sei anni di mandato. Se tutti gli scontenti votassero per lui, Falcon sarebbe presidente, ma non dovrebbe succedere. Il Venezuela è una polveriera e nessuno ha la forza di cambiare il capitano di una nave ormai alla deriva.

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