Fragile, rischioso e stretto

I guai del nuovo Canale di Panama

AGO 3, 2018 ROBERTO PELLEGRINO da www.ilgiornale.it

Hijos de p…! Hijos de p…! Il presidente Juan Carlos Varela ha un diavolo per capello. A Las Garzas, lo splendido palazzo in stile coloniale, lo hanno sentito urlare, mentre picchiava sulla stessa scrivania, occupata 35 anni prima da cara de piña Noriega. Colpa del New York Times che ha ficcato il naso nella mastodontica opera che per i panamensi rimane l’orgoglio del Paese: il Canale di Panama.

Per il quotidiano americano, il Canal avrebbe un futuro alquanto incerto a causa dell’ampliamento del 2016. Il terzo corridoio non soddisferebbe «i minimi standard di sicurezza per la qualità delle infrastrutture e la resa economica». Inoltre, «non dispone d’acqua sufficiente, non garantisce la solidità nelle sue costruzioni in cemento armato e non ha chiuse abbastanza grandi da permettere il passaggio in sicurezza delle navi più ingombranti che spesso devono alleggerire il carico», scrive il New York Times, basandosi su decine d’interviste a lavoratori ed esperti e su documenti pubblici e secretati.

Il Canal è l’opera idraulica artificiale che spezza in due continenti l’America del Nord e e quella del Sud. Permette alle navi commerciali di lasciarsi l’Atlantico alle spalle per entrare nel Pacifico, attraversando un istmo d’acqua dolce di lago e salata di oceano per poi navigare gli 81 chilometri del canale realizzato nel 1914 dal genio militare americano del colonnello Gothal. Le opere durarono sette anni, sotto la protezione e pressione della Casa Bianca di Roosevelt che causò una rivolta popolare, pur di realizzare il ciclopico progetto, affittarne il prezioso usufrutto, e affrancare Panama dalla Colombia. Il canale è profondo 12 metri ed è largo tra i 240 e i 300 metri nel lago Gatún, mentre va dai 90 ai 150 nel tratto del taglio della Culebra. La sua capacità dipende dalla grandezza delle chiuse di accesso che permettono il transito. Nel 2009 furono avviati i lavori d’espansione del «Post Panamax» per aggiungere una terza corsia e creare due nuove chiuse, ognuna con tre camere: una sul lato dell’Atlantico e l’altra del Pacifico. Le chiuse avrebbero dovuto permettere in due ore il sollevamento delle navi dal livello degli oceani al lago Gatún dell’istmo. Ognuna delle camere, che formano le chiuse, doveva essere larga 55 metri, lunga 426 e profonda dai 23 ai 33 metri, con un sistema di paratie scorrevoli in senso orizzontale per superare il dislivello di 27 metri tra gli oceani e il lago.

L’appalto fu vinto dalla Gupc con l’offerta più bassa, ma anche finanziariamente più fragile: 3,12 miliardi di dollari, molto inferiore persino a quanto indicato dall’Autorità del Canale di Panama (Acp). Nel consorzio vincitore c’erano l’italiana Salini-Impregilo, la belga Jan De Nul, la panamense Constructora Urbana e la spagnola Sacyr Vallehermoso che sono attualmente in causa col Governo panamense per riscuotere parte della commessa. Un dirigente della Bechtel, impresa uscita perdente, dichiarò che per quell’importo la Sacyr «non poteva nemmeno versare il calcestruzzo». Nel 2009 Varela, all’epoca vicepresidente, confidò all’ambasciatrice americana: «Se c’è un’offerta di un miliardo inferiore alla seconda, qualcosa non va».

Il calcestruzzo impiegato per le strutture delle enormi chiuse, sempre secondo il quotidiano newyorkese, è stato definito da un’analisi dell’assicurazione della casa costruttrice «di qualità bassa». Per la spesa del calcestruzzo, infatti, il consorzio sborsò una cifra inferiore del 71% a quella del secondo miglior offerente; il 25% in meno di costi, invece, per l’acciaio di rinforzo del calcestruzzo. L’offerta del consorzio vincitore avrebbe avuto troppo poco margine «per errori di esecuzione o significative inefficienze» che avrebbero prodotto «una situazione ad alto rischio». Per il New York Times «se nel calcestruzzo c’è troppo poco cemento, la miscela finale è porosa e debole. Nel 2015 un filmato mostrava abbondanti perdite d’acqua dalle strutture in costruzione. Si decise di rattoppare con l’acciaio, contro la maldestra previsione di Quijano, leader dell’Acp, che «il calcestruzzo sarebbe durato cent’anni».

Le chiuse sono la parte più problematica. Iván de la Guardia, capo sindacalista dei capitani dei rimorchiatori, denunciò al New York Times l’assenza di condizioni di sicurezza durante il traghettamento nelle chiuse delle navi più grandi, «perché gli spazi sono troppo ristretti, con troppo poco margine di sicurezza. Sarà un vero disastro». Preoccupante anche la decisione di sostituire le locomotive per guidare le navi in posizione corretta perché «i canali in cui si utilizzano i rimorchiatori non hanno le forti correnti causate dall’acqua salata con l’acqua dolce. E i rimorchiatori necessitano di molto spazio per manovrare: hanno soltanto 30 metri per le navi più grandi, quando, secondo il New York Times, l’Acp aveva stabilito che fossero 50. «Passare in una chiusa con una nave di quelle dimensioni con vento e correnti», ha detto un capitano, «è come infilare un filo in un ago con le mani tremanti». Scarsi anche gli ammortizzatori sulle pareti per «proteggere» le navi. Poi c’è il problema del lago artificiale Gatún che spesso non riceve sufficiente acqua dal fiume Chagres per riempire vecchie e nuove chiuse: le navi devono alleggerire il carico per non toccare il fondo. I lavori dei serbatoi d’emergenza furono fermati dalle proteste delle comunità indigene.

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