Cosa sono i “Buchi neri” dell’oceano che preoccupano la Nato

Sono stati ribattezzati “Buchi neri” dalla Nato, i sottomarini classe Varshavyanka, unità sottomarine a propulsione super silenziosa a cui le marine militari dell’Alleanza Atlantica hanno dato la caccia nel Mediterraneo e nei mari del Nord.

MAR 16, 2019 DAVIDE BARTOCCINIwww.occhidellaguerra.it

La Marina russa continua a dispiegare queste unità in tutte le sue flotte, rafforzando il potenziale di combattimento della sua sia nel Mar Nero che nel Mar Baltico. I sottomarini a propulsione diesel-elettrica Varshavyanka, anche noti come Project 636.6, sono considerati tra i più silenziosi della loro classe, e l’agenzia d’informazione Tass ha definito la loro identificazione durante la navigazione sommersa “un compito scoraggiante per i militari della Nato“, che continuano ad innalzare difese e attivare contromisure sempre più serrate per impedire che questi sottomarini sfuggano al loro monitoraggio passando per il Giuk gap– un tratto di mare geostrategico dove l’attività Marina russa ha rasentato i livelli delle fasi di escalation della guerra fredda – e riappaiono nel Mediterraneo o in altre aree di mare inaspettate. Non a caso la Nato si riferisce a queste unità con un nome non ufficiale di “Buchi neri” nell’oceano.

I sottomarini apparente alla classe Project 636 sono la terza generazione dei sottomarini della famiglia Varshavyanka, risalente agli anni ’70. Sviluppati presso l’ufficio di progettazione Rubin, e sviluppati sulla base dei vascelli Paltus (e Kilo), tuttora in servizio in Cina e India, sono stato sottoposti a notevoli implementazioni dei sistemi elettronici, dotati dei più recenti sistemi radioelettronici e idroacustici, e migliorati per essere più efficaci nelle fasi di combattimento, ma sopratutto sono state implementate le capacità nell’asseto di navigazione silenziosa. Accanto al sottomarino Borei a propulsione nucleare – l’Improved Borei è considerato un altro “buco nero” – il Varshavyanka appare come un vascello di piccole dimensioni, lungo circa 74 metri e largo 10, con un dislocamento 4.000 tonnellate. La profondità di progettazione dello scafo pressurizzato è di 240 metri e la profondità operativa massima, 300 metri. Porta con se un equipaggio di 52 uomini.

Il sottomarino Varshavyanka è spinto da due generatori diesel da 1.500 cavalli l’uno, per un motore elettrico di propulsione e e due motori diesel stand-by con due batterie elettriche che possono muovere un’elica a sette pale che assicura la velocità massima di 17 nodi (oltre 30 chilometri all’ora) in navigazione di superficie e fino a 20 nodi in navigazione sommersa.

Il compito principale affidato ai Varshavyanka è quello di proteggere le basi navali e le rotte marittime battute dalle unità di superficie russe, di attaccare all’occorrenza sottomarini nemici o unità di superficie, oltre quella di insinuarsi nelle acque internazionali controllate dalla Nato e testare le loro capacità di eludere l’avversario. Il suo carico di missili da crociera gli permette anche di lanciare attacchi mirati a infrastrutture strategiche – come fece il sottomarino Rostov-on-Don (B-237) quando colpì con missili Kalibr le forze dell’Isis durante le prime battute dell’intervento russo nel teatro siriano.

La loro arma più letale è infatti il missili da crociera “Kalibr”, l’arma principale del Progetto 636.6 che ha ricevuto il battesimo del fuoco in Siria nel 2015. Nella sezione di prua, il Varshavyanka alloggia sei tubi lanciasiluri da 533 mm, che possono lanciare munizioni convenzionali quali 18 siluri o 24 mine, o missili da crociera Kalibr, in grado di colpire efficacemente bersagli a circa 2.000 di distanza. Secondo quanto affermato dal ministero della Difesa russo, i missili di questo tipo vantano una bassissima osservabilità, dunque l’incapacità di tracciare un buco nero dell’Oceano che può lanciare missili guidati difficilmente tracciabili rende questo vettore sottomarino una delle armi più temibili possedute dal Cremlino.

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