Ai piedi di Macron: dalla Merkel ai sovranisti, ecco perché Parigi si è presa l’Europa

Il presidente francese ha trascinato tutti nel suo piano per scegliere le cariche più favorevoli alla Francia. Sconfitta l'Europa dell'Est e il partito degli eurobond. I federalisti battono i sovranisti. Per ora

Andrea Fioravanti 6.7.2019 www.linkiesta ,it

Meno di sei mesi fa Macron sembrava un politico moribondo. Il presidente francese era al minimo storico nei sondaggi, i gilet gialli distruggevano i negozi Parigi pretendendo le sue dimissioni e gli alleati europei ignoravano il suo ambizioso piano per cambiare l’Ue. Tutti i media avevano già scritto il suo necrologio politico, poi il destino ha avuto più fantasia di lui. Sono bastati una stanza, 28 politici e una scadenza impellente. L’occasione ha fatto il politico scaltro. A differenza dgli altri 27 leader Ue del Consiglio europeo, Macron aveva tre obiettivi precisi e la voglia di portarli avanti. Primo, far fuori lo spitzenkandidaten tedesco Manfred Weber, secondo mettere un francese alla Banca centrale europea e terzo rinforzare l’asse franco-tedesco. Con una buona dose di fortuna ha ottenuto tutte e tre le cose. Ci abbiamo scherzato su anche noi: a leggere i giornali italiani non si capisce se ha vinto Merkel o Macron. Fidatevi, queste nomine sono tutte made in France. Lo ha ricordato lo stesso Macron subito dopo l’annuncio: «I vertici europei parlano tutti benissimo francese» e non è un caso. Macron esulta perché ha reso i liberali l’ago della bilancia europea, ma non ditelo al Movimento Cinque Stelle. Ecco chi ha vinto e chi ha perso il trono di Spade delle nomine Ue.

 

Primo, hanno vinto i liberali, hanno perso tutti gli altri. Per anni i liberali in Europa sono stati considerati un eurogruppo di secondo piano, a volte eccentrico. Basta fare il nome del loro leader Guy Verhofstadt, ultra europeista che però non ha mai ottenuto una carica di rilievo, neanche la presidenza del Parlamento europeo. Ma con l’arrivo di Macron è cambiata la dimensione politica. Sono arrivati terzi, dietro socialisti e popolari ma hanno una delle cariche più prestigiose: la presidenza del Consiglio europeo. Per capire le proporzioni della vittoria, chi siederà su quella poltrona è Charles Michel, attuale primo ministro belga di un governo moribondo che si è portato stancamente avanti fino alle elezioni del 26 maggio. In Belgio si vota in coincidenza con le elezioni europee. I veri sconfitti di questo giro di nomine sono i socialisti, arrivati a un passo dalla presidenza della Commissione europea ma Frans Timmermans non ce l’ha fatta. È entrato Papa nel conclave ed è uscito cardinale. Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha fatto lo stesso errore politico di Matteo Renzi cinque anni fa: ha usato la sua rendita da partito socialdemocratico più votato per ottenere la carica meno decisiva e importante tra le quattro a disposizione: l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. Ancora senza un esercito europeo la politica estera della Commissione è solo soft power e distintivo. Ci andrà Josep Borrell, ex presidente dimenticabile del Parlamento europeo. Non proprio il massimo. E dire che ai socialisti era stata proposta la presidenza del Consiglio europeo ma forse mancava il nome adatto. Enrico Letta sarebbe stato perfetto, ma per sua sfortuna è italiano nello stesso momento in cui al governo ci sono Lega e 5 Stelle. E hanno perso anche i popolari europei. È vero, Ursula Von der Leyen è del Ppe, ma non è stata la Merkel a proporla per la presidenza della Commissione europea. Il nome lo ha fatto Macron perché ha conosciuto la ministra della difesa tedesca due settimane fa durante un incontro tra i ministri della difesa di Francia, Spagna e Germania. Merkel non ha potuto dire di no alla sua delfina. Il Ppe aveva due nomi da sempre: Weber e Michel Barnier. Il primo come candidato di punta per le elezioni, il secondo come riserva in caso gli spitzenkandidaten fossero stati bruciati durante il negoziato. Cosa regolarmente avvenuta. Macron però ha imposto una politica di secondo piano. Un outsider che gli dovrà molto in futuro.

Secondo, ha vinto l’Europa dell’Ovest e ha perso quella dell’Est. Una francese (Lagarde), una tedesca (Von der Leyen), uno spagnolo (Borrell) e un belga (Michel) ricoprono le cariche più importanti. Nessuno dei vertici Ue appena nominati è nato più a est di Bruxelles. Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica ceca sono state bravissime a bocciare i candidati sgraditi, ma pessimi nel creare un’alternativa. E l’Italia è caduta nella rete di Visegrad a cui serviva un Paese prestigioso da 60 milioni di abitanti per impedire la nomina di Timmermans. La telefonata tra il premier ungherese Viktor Orbàn e Matteo Salvini è stata decisiva per affondare la candidatura dell’olandese. Non smetteremo mai di dirlo: era l’unico nome tra quelli in ballo a esser favorevole alla redistribuzione dei migranti e a dare più flessibilità economica all’Italia. Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte esulta per il commissario europeo alla concorrenza, ma nessuno gli ha ricordato che il nome proposto dall’Italia dovrà fare gli interessi di tutti gli europei e non quelli di Palazzo Chigi. L’Europa del Nord? Non pervenuta perché ha scommesso tutte le fiches su una sola candidata: la danese Margrethe Vestager che ha ottenuto la seconda vicepresidenza della Commissione. L’altro papabile nordico era l’ex premier finlandese Alex Stubb ma aveva perso in partenza la lotta con Weber per rappresentare il Ppe alle elezioni europee.

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