Gorbaciov è stato il simbolo di tutto quello che la Russia poteva essere. Michail Gorbaciov, il liberatore più odiato

Il verdetto della storia è stato spietato: non si poteva riformare l'irriformabile. Ma onore a Michail Gorbačciov, che ci ha provato

01 SET 2022 Lettere Direttore ilfoglio.it lett4’

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Scompare con Gorbaciov il protagonista del tentativo di riformare il sistema del “socialismo reale” che consentisse all’Urss di rientrare nelle dinamiche del mondo globale e di ridare al comunismo la capacità di emanare un credibile messaggio universalistico. Il fallimento dell’ultimo segretario generale del Pcus metteva a nudo le insormontabili contraddizioni insite in quel tentativo. Gorbaciov usciva dalla scena come un uomo sconfitto e tuttavia, senza la sua iniziativa, la fine dell’Urss difficilmente avrebbe presentato un carattere pacifico. Quel sistema avrebbe potuto esasperare il suo aspetto concentrazionario, chiudersi senza varchi come una fortezza assediata, tentare una avventura militare. Soluzioni disperate che avrebbero imposto sacrifici sconvolgenti. Imboccare la via cinese avrebbe significato una tragedia di proporzioni incalcolabili per l’Europa e per l’Urss. Gorbaciov scongiurò un simile esito. Rinunciò al profilo imperiale dell’Urss lasciato in eredità da Stalin, liquidò la concezione del potere che aveva portato alle tragedie di Berlino est nel 1953, di Budapest nel 1956, di Praga nel 1968, di Varsavia nel 1981. Il putsch dell’agosto 1991 a Mosca fu un penoso colpo di coda di un regime ormai esausto. Gorbaciov uscì dalla scena come un uomo sconfitto. La sua iniziativa, tuttavia “se non aveva cambiato il sistema né rinnovato il comunismo, ciò nonostante, aveva privato di senso una sua difesa a oltranza”. Questo il merito storico che va riconosciuto a una personalità per alcuni versi tragica quale Michail Gorbaciov.

Umberto Ranieri

Ha cercato di avvicinare la Russia all’occidente. Ha provato a togliere dall’orizzonte del suo paese l’uso dell’arma nucleare. Ha tentato di costruire un rapporto nuovo con la Cina, con il Vaticano e naturalmente con l’Europa. Ha cercato di rendere più liberi i media. Ha provato ad allontanare la Russia dalle guerre. Gorbaciov, in fondo, è stato questo: è stato il simbolo di tutto quello che la Russia poteva essere, facendo un passo nella libertà, e che invece ha deciso di non diventare. E i frutti di un paese desideroso di rivoltarsi contro il modello glasnost (trasparenza) e il modello perestrojka (ristrutturazione) sono quelli che abbiamo di fronte ai nostri occhi, osservando il mondo disegnato da un macellaio di nome Putin.

Al direttore - Il verdetto della storia è stato spietato: non si poteva riformare l'irriformabile. Ma onore a Michail Gorbačciov, che ci ha provato. Come ha scritto Ugo Tramballi (Il Sole 24 Ore, 30 agosto), nel caos della disgregazione dell’Urss – provocata da lui stesso – si muoveva come un personaggio di Dostoevskij: prima ispirato dall’idea del bene, poi tradito dalla natura umana, infine rassegnato all’espiazione.

Michele Magno

Al direttore - Non è vero che destra e sinistra non esistono più: esistono, ma la parte migliore di entrambe si è persa. Si è persa, sia a destra sia a sinistra, la componente mediana. Quella più realista, quella meno ideologica. E non si tratta di uno specifico italiano. Accade in molte democrazie avanzate d’occidente a partire da quella statunitense.

Personalmente, attribuisco il fenomeno al declassamento del ceto medio conseguente alla crisi economica globale iniziata nel 2008. Il crollo della componente sociale più equilibrata e il suo malessere crescente hanno determinato un analogo vuoto nell’offerta politica e nella rappresentanza parlamentare. Ne risulta un confronto sempre più polarizzato, che comporta il venir meno di quello spazio mediano dove da sempre la politica esercita con sufficiente buonsenso la propria funzione primaria: cercare compromessi, costruire mediazioni, conseguire il massimo di ciò che è ragionevolmente possibile conseguire nelle condizioni date. E lo fa, possibilmente, secondo una visione, un’idea di futuro.

Non è un caso che mai come in questa fase storica, fase di trasformazioni e di pericoli, la politica si caratterizzi per inconcludenza, i leader per inadeguatezza, i governi per instabilità. Non è un caso che la percentuale di cittadini che esercita il proprio diritto di voto sia sistematicamente in calo. A destra come a sinistra prevale la demagogia: chi vive di pregiudizi si accontenta, chi percepisce l’inganno si astiene.

È per questo che al Terzo polo di Carlo Calenda compete una missione che, in tempi di crisi, non è esagerato definire “storica”: smascherare il velleitarismo degli opposti populismi, introdurre i necessari elementi di concretezza in un dibattito pubblico dominato dall’astrazione e dall’ipocrisia, dare rappresentanza e restituire fiducia alla parte migliore dei due elettorati. A quello di destra come a quello di sinistra. Al ceto medio, in primo luogo. A chi si astiene e a chi non ne può più di turarsi il naso.

Un servizio alla credibilità dell’Italia, alla qualità della nostra democrazia, alla governabilità del paese. Un servizio, se vogliamo provare a uscire vivi e possibilmente rigenerati dai flagelli presenti e futuri, letteralmente vitale. Un servizio che darà i suoi frutti indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni.

Andrea Cangini,

senatore di Azione

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