Le sanzioni sono per sempre. Perché l’Europa dovrebbe fermare lo smercio di diamanti che finanzia il Cremlino

Regno Unito e America hanno già colpito il settore delle pietre preziose, tra i cinque prodotti che generano maggiori entrate per la Russia. Il Belgio insiste nel chiedere un tracciamento completo
Matteo Fabbri 16.3.2023 linkiesta.it lettura 4’

Il Belgio, che ad Anversa ospita il principale mercato del continente, insiste nel chiedere un tracciamento completo
«Date le entrate significative che la Russia ricava dall’esportazione di diamanti, ci impegneremo collettivamente su ulteriori misure sui diamanti russi, compresi quelli grezzi e lucidati, lavorando a stretto contatto per coinvolgere i partner chiave». I leader del G7 lo hanno esplicitato nella nota a margine dell’incontro del 24 febbraio mandando un segnale chiaro che, pur non indicando tempi precisi, lascia presagire che il prossimo incontro delle sette potenze in Giappone nel mese di maggio, possa essere quello decisivo per estendere le sanzioni anche ai diamanti russi.

Di fatto, però, i Paesi del G7 stanno aspettando Bruxelles, visto che Regno Unito e Stati Uniti hanno già sanzionato il settore, mentre l’Unione europea continua a tergiversare. Il tema è delicato: l’Europa ha ad Anversa, nel nord del Belgio, il più grande hub dei diamanti al mondo, attivo dal quindicesimo secolo.

A pochi passi dalla meravigliosa stazione dei treni della città fiamminga sorge il Diamond District, una zona relativamente piccola – circa un chilometro quadrato – nella quale transita l’ottantasei per cento di tutti i diamanti grezzi al mondo e le società registrate che lavorano e commerciano il minerale sono circa millesettecento. Il mercato dei diamanti genera scambi per quaranta miliardi di euro, un impatto economico importante per il Paese sede delle istituzioni europee. Nel 2021 Anversa ha importato dalla Russia diamanti per quasi due miliardi di euro.

Mosca è il primo esportatore al mondo e il commercio fuori dai confini vale circa quattro miliardi. Una somma che colloca il minerale tra i primi cinque prodotti che generano entrate per il Paese, staccato da gas e petrolio, ma con una fetta di mercato comunque significativa. La russa Alrosa è la più grande compagnia di estrazione di diamanti al mondo, anche grazie alle ricche miniere siberiane nella repubblica russa della Jacuzia.

Ovviamente è sotto il controllo Cremlino. L’amministratore delegato Sergei Ivanov viene considerato molto vicino a Putin ed è stato uno dei primi oligarchi a essere sanzionato dagli Stati Uniti dopo l’invasione dell’Ucraina. In passato Alrosa avrebbe addirittura finanziato un sottomarino da combattimento che porta il nome della compagnia.

Il governo belga ha sempre affermato di non essersi mai opposto esplicitamente a restrizioni sui diamanti ma viene naturale pensare che se l’Europa sia in ritardo da questo punto di vista rispetto a Stati Uniti e Gran Bretagna, il Paese che ospita il più grande hub dei diamanti al mondo possa averci messo lo zampino.

Le osservazioni sollevate dall’Awdc, il Centro mondiale dei diamanti di Anversa, insistono sul fatto che imponendo sanzioni al settore non si farebbe altro che spostare il mercato dall’Europa verso Israele, India ed Emirati Arabi. Paesi dove le pietre verrebbero lavorate per poi essere rimesse in commercio nei mercati occidentali non arrecando, di fatto, danni sensibili a Vladimir Putin.

Il Belgio sembra aver sposato questa linea e insiste nel chiedere che venga eseguito un tracciamento completo del minerale per poter garantire maggiore trasparenza e rendere al contempo maggiormente efficaci le sanzioni nei confronti di Mosca. In effetti questa situazione potrebbe essere l’occasione per stabilire nuovi standard globali a lungo termine che possano contribuire a riorganizzare il mercato garantendo un tracciamento sicuro.

Questa è la soluzione individuata dal Governo belga guidato da Alexander De Croo, che impedirebbe allo stesso tempo di aggirare le sanzioni. Ancora una volta però si è preferito rimandare di qualche mese e dei diamanti russi nel decimo pacchetto non c’è traccia. Anche all’interno dello stesso esecutivo di Bruxelles c’è chi avrebbe voluto un intervento più tempestivo.

I socialisti fiamminghi di Vooruit hanno sottolineato più volte come una maggiore tracciabilità a livello internazionale si rivelerebbe efficace solo se accompagnata da sanzioni immediate a livello europeo che vadano a colpire direttamente Alrosa riducendo i flussi economici verso la Russia. Difficile però pensare che la questione porti alla rottura degli equilibri all’interno della maggioranza di governo.

Dopo gli enormi sforzi del blocco dei ventisette per rendersi indipendenti da buona parte delle fonti energetiche russe (non tutte, fa eccezione ad esempio il settore nucleare), era lecito aspettarsi più coraggio da parte dell’Unione. Soprattutto rispetto ad un settore come quello del minerale più prezioso che pur avendo un forte impatto sull’economia di uno dei ventisette Stati membri, rappresenta un bene di lusso non paragonabile alle fonti energetiche.

Il fatto che la nota del G7 abbia citato esplicitamente i diamanti lascia presagire che la pressione su Bruxelles aumenterà e la prossima riunione delle sette potenze globali in Giappone potrebbe essere un orizzonte verosimile per estendere le sanzioni anche ad Alrosa e alle miniere del Cremlino. Sembra che a maggio quindi si arriverà ad una decisione. Ma nel frattempo i mesi passano e Putin continua a fare affari.

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