Le navi porta-droni che rivoluzionano le flotte del Medio Oriente

In Turchia è da poco entrata in servizio la nave Tcg Anadolu. Pensata come la prima portaerei turca, l’unità della flotta di Ankara, una nave d’assalto anfibio..

Lorenzo Vita 4.5.2023 ilgiornale.it lettura4’

In Turchia è da poco entrata in servizio la nave Tcg Anadolu. Pensata come la prima portaerei turca, l’unità della flotta di Ankara, una nave d’assalto anfibio, viene oggi in larga parte presentata sotto una veste nuova e per certi versi rivoluzionaria: quella di una nave porta-droni.

Il motivo è stato in larga parte dettato dalla combinazione di almeno due fattori: la Turchia è stata esclusa dal programma F-35, che avrebbe permesso di avere in futuro aerei per la propria portaerei; allo stesso tempo, l’industria bellica del Paese ha puntato tutto sui droni, con una serie di prototipi che sembrano pensati appositamente per essere imbarcati sulle navi della Marina turca (in rapida espansione). Necessità fa virtù, si dice in questi casi, e la cantieristica turca ha sfruttato le circostanze anche per rafforzare quel concetto di potenza che da tempo vede Recep Tayyip Erdogan puntare non solo sulla proiezione di forza, ma anche su mezzi militari indigeni.

La consegna alla flotta di Anadolu, basata sulla nave d’assalto anfibio spagnola Juan Carlos I, rappresenta per il presidente turco Erdogan l’ennesimo tassello di un programma ben settato sulle prossime elezioni: la concomitanza di questo voto con il centenario della Repubblica turca è per il Sultano un’occasione troppo ghiotta per far scrivere il suo nome nel “pantheon” della Turchia. Ed è chiaro che farlo mostrando il vanto della sua rinnovata flotta – con i rapporti mai rasserenati con la Grecia e con le ambizioni in tutto il Mediterraneo – è un segnale politico chiaro.

Ma al netto del tema elettorale e politico, di certo no secondario in questa fase, quello che conta è anche il fattore strategico. La Turchia ora ha una nave in grado di trasportare droni ed elicotteri, a loro volta turchi, proiettando così la propria forza in un’area che gli esperti solo momentaneamente circoscrivono a Mar Nero, Mediterraneo orientale ed Egeo, ma che potrebbe ben presto ampliarsi anche a fronte delle richieste della Nato. Per molti osservatori, riporta Middle East Eye, Anadolu potrebbe essere idonea a molte missioni dell’Alleanza Atlantica. E questo farebbe cambiare anche il modo di rapportarsi tra Bruxelles e Ankara, spesso tesi ma anche continuamente in bilico tra frattura e ammiccamenti. Oltre a questo, c’è poi il tema dell’utilizzo dei droni di fabbricazione turca su una nave: cosa che aiuterebbe ulteriormente l’industria turca a vendere i propri prodotti.

Se la nave porta-droni turca sintetizza una strategia consolidata e allo stesso tempo innovativa di Ankara (ed è un elemento da non sottovalutare anche nelle logiche atlantiche), in Medio Oriente si assiste a un’altra evoluzione che riguarda i droni come mezzi imbarcati sulle navi. Ma questa volta riguarda l’Iran. Negli ultimi mesi, diversi esperti, tra cui H. I. Sutton, hanno segnalato che l’Iran abbia iniziato a convertire vecchie navi mercantili in navi per il trasporto dei droni. Si tratterebbe di due unità: la Shahid Mahdavi e la Shahid Bagheri, con quest’ultima che sembra ormai in dirittura d’arrivo, al punto che a febbraio è stata annunciata anche dal comandante della Marina dei Pasdaran, il contrammiraglio Alireza Tangsiri.

Queste mosse di Teheran sono le ultime tappe di un percorso legato in particolare a due fattori: la produzione dei droni e la riconversione delle navi. Sotto il primo aspetto, è ormai noto che la Repubblica islamica abbia investito molto nella ricerca e nella produzione di queste armi. La guerra in Ucraina del resto è stata una testimonianza lampante, con i droni iraniani utilizzati dalle truppe russe. L’investimento sui droni e sulle navi porta-droni unisce sia le forze armate regolari iraniane che i Guardiani della rivoluzione, ossia i Pasdaran. E questo, se certamente non può fornire a Teheran una capacità di attacco o proiezione pari a quella degli Stati Uniti, può certamente aumentare il raggio d’azione in Teheran in diversi settori, a cominciare dallo stesso Golfo Persico, ma anche in quello dell’Oman e di Aden fino al Mar Rosso. Del resto sono armi che l’Iran sa utilizzare perfettamente, e possono essere impiegate sia in quella guerra sotterranea con Israele, sia come deterrente o minaccia asimmetrica alle mosse degli Stati Uniti e degli alleati degli Stati Uniti nella Penisola araba, così come nella costante e silenziosa “guerra delle petroliere” e contro obiettivi legati in qualche modo allo Stato ebraico.

Per quanto riguarda la conversione delle navi, invece, Teheran non fa altro che confermare una capacità ormai acquisita da diversi anni. Come ricorda un’analisi del Middle East Institute, le forze armate dei Pasdaran hanno già convertito nel 2020, una nave commerciale nella nave Shahid Roudaki utilizzata sia per controllare le acque dei mari regionali, sia per colpire obiettivi nemici o disturbare la navigazione e in grado di trasportare missili e droni. Nel 2021, è stata la volta di un’altra conversione, quella di una vecchia petroliera che è diventata il Makran. Usata come “nave madre” per diversi tipi di operazioni, questa unità può imbarcare elicotteri e droni, ed è diventata famosa per avere varcato le acque dell’Atlantico e avere raggiunto San Pietroburgo per sfilare durante la parata miliare della Marina russa.

Anche in questo caso, interessante è lo sviluppo dell’Iran non solo nell’ottica della propria proiezione di forza, ma anche nella capacità di modificare gli equilibri regionali, soprattutto in una fase di ricollocamento internazionale dopo l’accordo con l’Arabia Saudita e i tentativi di accreditarsi con la Cina e i partner arabi (prima di Riad era stata la volta degli Emirati Arabi Uniti).

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