Trionfa in Francia la rivoluzione dei diritti omicidi

- I 1.894 sopravvissuti alla Shoah cacciati da Hamas e il libro di Nathania Zevi

4.2.2024 Giuliano Ferrara, Giulio Meotti ilfoglio.it lettura3

Trionfa in Francia la rivoluzione dei diritti omicidi

GIULIANO FERRARA 04 FEB 2024

L’Assemblea nazionale mette in Costituzione l’aborto: un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata. Che infinita vergogna, che campione perverso dell’ideale di laicità, che delirio irreligioso

Maggioranza schiacciante, appena due dozzine di no, l’Assemblea nazionale francese mette in Costituzione la ghigliottina per i bambini concepiti ma non ancora nati, l’aborto o interruzione volontaria di gravidanza. Questo sarebbe il compimento della patria rivoluzionaria dei diritti, sotto l’egida (e mi dispiace ma era prevedibile) di un presidente che non osa dirsi liberale ma in economia e società lo sarebbe pure, salvo allearsi con la più massiccia, travolgente ondata di conformismo lugubre e trasversale, niente più distinzioni politiche o ideologiche o culturali, niente discussione, si fa perché si può, si deve perché il corpo è mio, anche quello di un altro che ho concepito io con l’aiuto determinante e condiviso, come si dice ora, di un maschio, sotto lo schermo ormai evanescente del piacere e dell’amore. Se in Francia fosse sopravvissuto, oltre il velo della chiacchiera intelligente, un poco del potente e amaro moralismo del Grand Siècle, del Seicento, i deputati di Palais Bourbon avrebbero saputo che questo premio alla filosofia dei diritti cosiddetti è solo un omaggio blasfemo all’amor proprio, nella sua versione seriale, massificata, obbligata.

- I 1.894 sopravvissuti alla Shoah cacciati da Hamas e il libro di Nathania Zevi

GIULIO MEOTTI 03 FEB 2024

La giornalista del Tg1 parla del 7 ottobre come del crollo emotivo profondo della sicurezza d’Israele. E racconta delle nuove paure per gli ebrei in Europa

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In Israele vivono 137 mila sopravvissuti all’Olocausto, 13 mila in meno rispetto allo scorso anno e ogni anno di meno. Ma ancora abbastanza perché il 7 ottobre 1.894 di loro venissero evacuati dalle loro case, compresi 554 sopravvissuti nei kibbutz vicino al confine di Gaza. Questo emerge da una audizione alla Knesset a Gerusalemme. Anche loro “nemici ideali”, per riprendere il titolo del libro-confessione di Nathania Zevi (Rai libri). “Lo scorso 27 gennaio sono successe cose che mi hanno lasciato sgomenta”, ha detto Liliana Segre durante il discorso al Memoriale della Shoah di Milano. “Non devo rispondere, dovermi discolpare, in quanto ebrea di quello che fa lo stato di Israele. Evidentemente hanno un bisogno spasmodico di fare pari e patta con la Shoah, di togliere agli ebrei il ruolo di vittime per antonomasia, di liberarsi da un inconscio complesso di colpa. Siamo davanti a una catastrofe culturale”. Pari e patta, Hamas e i loro amici antisemiti in occidente vorrebbero farla, con la memoria viva d’Israele (quei 1.894) e con la sua storia. E sembra di rileggere Rosellina Balbi, che denunciò con forza lo stesso clima negli anni Ottanta in un memorabile articolo su Repubblica: “Davide discolpati”.

Zevi prova a scrollarsi di dosso questa oscena richiesta di dissociazione ebraica da Israele che tanti solchi ha scavato nella cultura italiana più conformista. Parla del 7 ottobre come del crollo emotivo profondo della sicurezza d’Israele: “Mentre guardavo le immagini sempre più atroci dell’attentato di Hamas, mentre vedevo donne, uomini e bambini ebrei costretti a fuggire o a vivere nel terrore ancora una volta, sentivo che qualcosa si stava rompendo per sempre e che la sicurezza che Israele era per noi andava disgregandosi sotto i nostri occhi”. Ma Zevi racconta di un’altra paura, qui, in Europa: “A pochi giorni dagli attentati, dalla scuola ebraica che frequentano i miei figli mi è giunta una comunicazione che suggeriva, almeno per il momento, di non mandarli in giro con la divisa, una felpa con una piccola menorah ricamata sul petto”.

Stesse direttive ovunque: Parigi, Berlino, Londra, Bruxelles, Amsterdam… La giornalista sapeva che, indipendentemente da come gli israeliani avrebbero deciso di rispondere al pogrom, “la gran parte dell’opinione pubblica tre giorni dopo il 7 ottobre non stenterà a chiamarli nazisti”. Detto fatto. Unica democrazia liberale, pluralista e multiculturale del medio oriente, Israele non solo ha obbligato il mondo islamico a fare i conti con la modernità, ma continua a costringere le democrazie occidentali a fare i conti con questo piccolo pegno ebraico di diritti e di libertà fuori dai suoi confini. Ma più il mondo cade nel caos, più l’antisemitismo unifica le fazioni più diverse (neonazisti, estrema sinistra, islamisti, cattolici tradizionalisti) e calma le paure collettive. “Posso sperare che quello di Hamas resti un antisemitismo non istituzionalizzato, che continui ad assomigliare a un male circoscritto, che non dilaghi e non si radichi nella società come fu per il nazismo”, scrive Zevi. Israele, diceva David Ben Gurion, vincerà tutte le guerre tranne l’ultima. I suoi nemici possono subire una sconfitta dopo l’altra, ma esisteranno ancora il giorno dopo ogni battuta d’arresto. Israele non può permettersi il lusso di una sola sconfitta: il 7 ottobre ci ha dimostrato che neanche allora si placherebbe la foga contro il “nemico ideale”.

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