L'indifferenza verso il Sudan. Darfur cimitero a cielo aperto: l’indignazione non nasce più dal dolore,

ma dal calcolo politico. La solidarietà trasformata in spettacolo.Tragedia inutile alla propaganda.

Rodolfo Belcastro 7 Novembre 2025 alle 11:12 ilriformista.it lettura3’

Incredibile come funzioni la geografia selettiva dell’indignazione. Queste sono le ore di Mamdani e dell’infatuazione confusionaria della politica tutta concentrata oltreoceano, eppure le immagini satellitari del Darfur, con strade macchiate di sangue e civili massacrati, non bastano per far scendere nessuno in piazza. Nessun corteo antagonista, nessuna bandiera arcobaleno sventolata in nome dei “diritti umani”, niente “Bella Ciao”, nessun sit-in studentesco o performance militante davanti alle ambasciate, nessun hashtag virale con pugni chiusi e kefiah, nessuna occupazione universitaria per le donne e le bambine violentate, per i villaggi rasi al suolo, per la popolazione non araba sterminata.

Darfur cimitero a cielo aperto

Eppure il Sudan vive oggi la più grave crisi umanitaria al mondo. Ma evidentemente non è una tragedia “utile” alla propaganda. Nel Darfur le milizie RSF del generale Hemedti hanno trasformato intere regioni in cimiteri a cielo aperto. Migliaia di persone uccise, milioni di sfollati, città cancellate. Eppure, la comunità internazionale osserva, i governi tacciono, l’opinione pubblica si distrae. I padri Comboniani, testimoni cristiani instancabili dell’Africa dimenticata, parlano di “carneficina”. Chiedono corridoi umanitari, protezione per i civili, un impegno europeo vero. Ma le loro parole non trovano eco. Non generano trend, non alimentano identità di fazione, non offrono visibilità.

Lo strabismo morale, indignazione nasce dal calcolo politico

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Fa impressione constatare come la stessa società che ha riempito le piazze per Gaza e trasforma la causa palestinese in un vessillo planetario, oggi ignori il Darfur. È uno strabismo morale diventato sistema: l’indignazione non nasce più dal dolore, ma dal calcolo politico. Dove mancano fondi, ideologie o nemici comodi da demonizzare, la compassione sembra evaporare. C’è chi ha costruito, nel tempo, una macchina della propaganda globale capace di orientare la percezione collettiva. Finanziata da potenze che usano la causa palestinese come leva di influenza attraverso media compiacenti, università, centri culturali, fondazioni e social network, quella macchina ha imposto un’agenda, un linguaggio, perfino un’estetica del dolore. Dalla Freedom Flotilla ai talk televisivi, dagli editoriali delle grandi firme alle piazze universitarie, tutto concorre a un racconto selettivo e manicheo. E così il mondo si commuove solo quando la regia lo consente.

L’indifferenza verso il Sudan: la solidarietà trasformata in spettacolo

C’è poi chi, da pulpiti di Ong internazionali con uffici con vista su Ginevra, dispensa sermoni sulla giustizia e sui diritti umani come fossero verità rivelate. Nuovi profeti della morale selettiva, sempre pronti a condannare Israele come peccato originale dell’Occidente e a presentare ogni forma di terrorismo come “resistenza legittima”. Figure che hanno fatto carriera trasformando l’antisionismo in una nuova religione civile, dove indignarsi contro Israele è diventato un gesto progressista, e tacere sui massacri del Darfur un atto di coerenza geopolitica.

Nel Darfur le vittime non sono funzionali a nessuna narrazione: non appartengono al fronte giusto, non sono arabe, spesso sono cristiane. Non hanno diplomazie finanziarie che le proteggano né network che amplifichino la loro voce. Per loro, nessuna battaglia, nessun megafono, nessuna lacrima televisiva.

Alcune parti dell’Africa muoiono in silenzio, ignorate da chi ha trasformato la solidarietà in spettacolo e la giustizia in merchandising politico. Eppure, come ricordano i missionari cristiani comboniani, la dignità non è un premio da distribuire a seconda della convenienza geopolitica. L’indifferenza verso il Sudan è la misura della nostra crisi morale. Perché un mondo che sceglie le sue tragedie in base ai finanziatori della compassione non è un mondo civile, ma un teatro cinico. E se oggi possiamo ignorare il Darfur senza vergogna, domani potremo ignorare chiunque. Il silenzio, questa volta, non è neutralità. È complicità.

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