Gli interessi e la soft diplomacy. Come gli Emirati hanno foraggiato la guerra civile in Sudan:
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armi, droni e munizioni alle RSF in cambio di oro e sbocco sul Mar Rosso
Giuseppe Mistretta 27.11.2025 alle 16:32 ilriformista.it lett4’
La conquista lo scorso ottobre della città di El Fasher, nella regione sudanese del Darfur, da parte delle milizie ribelli Rapid Support Forces, e le atrocità da loro commesse ai danni della locale popolazione assediata da 18 mesi, stanno provocando un’ondata di forti critiche in ambito internazionale nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, ritenuti il principale sponsor del gruppo armato in guerra col governo di Khartoum.
Nonostante gli Emirati abbiano più volte negato di sostenere militarmente le RSF del generale Hemedti, anche durante questo mese di novembre, esistono una serie di evidenze sul coinvolgimento di Abu Dhabi, per quanto riguarda la vendita di armi, droni da guerra, munizioni ed altro materiale alle forze ribelli, malgrado l’embargo disposto dal CdS delle Nazioni Unite. Come ha ammesso recentemente lo stesso Segretario di Stato americano Rubio, le milizie RSF non sono in grado di produrre gli armamenti di cui dispongono, ed è quindi innegabile un flusso di forniture militari straniere, e di ingenti finanziamenti per acquistarle. L’esercito governativo sudanese (SAF) è invece sostenuto con forniture militari dalla Turchia, ed in minore misura dall’Egitto. Negli USA, il quotidiano Wall Street Journal ha pubblicato di recente alcuni articoli circa il sostegno di Abu Dhabi alle RSF.
Secondo il Wall Street Journal, le milizie ribelli in Darfur si avvalgono anche di droni cinesi CH-95, consegnati dagli Emirati, e capaci di bombardamenti di precisione e di voli prolungati. Media britannici (The Guardian e Middle East Eye) hanno evidenziato in varie circostanze la vendita di droni da combattimento, di missili e batterie anti-aeree dagli Emirati alle RSF. Nel maggio 2025 era stata Amnesty International a denunciare che armi cinesi, incluse bombe teleguidate, cannoni e mortai stavano arrivando alle RSF, in Darfur, da Abu Dhabi. Nonostante il conflitto civile in corso in Sudan abbia già causato nei tre anni dal suo inizio oltre 200.000 vittime, gravissime devastazioni, e 12 milioni di sfollati e rifugiati, sono state specialmente le brutalità verificatesi durante la presa di El Fasher a causare un sussulto internazionale sul fronte umanitario. Il Segretario Generale dell’ONU Guterres ha parlato della più grande tragedia umanitaria in corso a livello planetario, e gli stessi toni accorati sono stati utilizzati da enti a difesa dei diritti umani, che hanno anche parlato di un genocidio in corso ai danni delle popolazioni darfuriane.
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Durante gli ultimi giorni dell’assedio di El Fasher gli Stati Uniti, tramite l’Inviato Speciale per l’Africa, Massad Boulos, avevano tentato di far sottoscrivere ai belligeranti una cessazione temporanea delle ostilità, con il concorso del cosiddetto Quad (oltre a Washington, gli stessi Emirati, l’Egitto e l’Arabia Saudita). La caduta definitiva della principale città del Darfur, e gli orrori che l’hanno accompagnata, hanno dissuaso il Governo di Khartoum dal procedere sulla via di una intesa, seppur temporanea, col nemico. È notizia di questi giorni che le RSF, con una mossa a sorpresa, hanno proclamato un cessate il fuoco unilaterale per tre mesi, di cui bisognerà però valutare l’effettività sul terreno. Dal canto loro, gli Emirati stanno attuando in parallelo una intensa “soft diplomacy” per cercare, almeno verbalmente, di prendere le distanze dalle atrocità commesse dalle RSF specialmente contro le popolazioni civili, e per cercare di recuperare credibilità internazionale.
I motivi che spingono Abu Dhabi al sostegno alle RSF hanno tuttavia un carattere geostrategico prioritario, che riguarda il controllo delle notevoli risorse auree, soprattutto collocate nelle regioni controllate dalle milizie ribelli; e l’ambìto sbocco al mare sulla costa africana del Mar Rosso, da cui transitano rilevanti flussi di merci mondiali. Una visione emiratina di più lungo periodo prevede altresì una crescente influenza verso l’Africa Occidentale, fino alle coste dell’Atlantico, profittando dei vuoti di potere nella regione del Sahel dopo la chiusura delle basi militari francesi nell’area, e la scarsa incidenza della subentrata presenza russa dell’Africa Corps nella lotta al terrorismo jihadista. Di fronte al tragico scenario sudanese, anche l’Ue ha emesso il 20 novembre scorso una nuova, lunga Dichiarazione di forte condanna per gli orrori collegati alla presa di El Fasher, ed in favore della fine immediata delle ostilità ed il ripristino degli aiuti umanitari in Sudan. Nel sollecitare tutti gli attori esterni a fermare la fornitura di armamenti ai belligeranti (pur senza menzionare apertamente gli Emirati), la Dichiarazione ha confermato l’adozione di sanzioni individuali europee verso il generale Dagalo Hemedti, uomo forte delle RSF.


