Così nel mondo continua l’avanzata dell’energia nucleare

I 100 reattori in funzione negli Stati Uniti e quelli in costruzione, il pragmatismo tedesco, i dati dell’ultimo rapporto Iea-Nea

di Pietro Romano | 26 Aprile 2015 ore 06:27 Foglio

Roma. Per la prima volta dopo quasi vent’anni, tra pochi mesi negli Stati Uniti è prevista l’entrata in attività di due nuovi reattori atomici alla centrale di Watts Bar 2. Sul rilancio dell’energia nucleare in America convergono due fattori. Prima di tutto la verifica empirica: inverni particolarmente rigidi stanno facendo apprezzare la continuità della produzione nucleare che, a differenza delle altre fonti, non ha accusato defaillance. Poi, il dato politico: alla vigilia della corsa alla Casa Bianca per le elezioni presidenziali del 2016 ai vertici del settore siedono un repubblicano e una democratica. Da un lato, il presidente del Nuclear energy institute, la Confindustria dell’atomo, Marvin Fertel; dall’altro, Carol Browner, a capo del gruppo di pressione Nuclear Matters, già consigliera di Clinton e Obama. Tutto lascia prevedere, insomma, che l’America tenderà a incrementare la capacità nucleare che assicura il 19 per cento dell’energia elettrica, e a mantenere l’attuale primato mondiale con cento reattori in funzione.

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Gli Stati Uniti non rappresentano un’eccezione.  Il rapporto congiunto Iea-Nea (International energy agency – Nuclear energy agency) per il 2015 rivela che sono in attività 438 reattori e 72 sono in costruzione, il numero più elevato registrato da un quarto di secolo. L’energia nucleare garantisce l’11 per cento della produzione mondiale di elettricità, una quota che sale al 27 per cento in Europa, dove rappresenta il 53 per cento dell’elettricità totalmente decarbonizzata. L’Europa, che possiede il 42 per cento dei reattori funzionanti al mondo, sembra destinata a mantenere il primato nonostante l’incalzare dell’Asia, con 47 reattori in costruzione contro i 17 del vecchio continente e gli otto delle Americhe. Quale formula spiega il successo dell’energia nucleare? L’economicità prima di tutto. E’ vero che gli investimenti iniziali sono elevati, ma dopo vent’anni i costi di gestione diventano bassi rispetto alle fonti concorrenti e ormai le aspettative di vita di un reattore superano ragionevolmente i sessant’anni. Il vero punto di forza del nucleare è, però, la necessità di ridurre le emissioni di anidride carbonica.

“L’energia nucleare può svolgere un ruolo chiave nella de carbonizzazione del sistema elettrico. E’ una importante tecnologia e una fonte di elettricità stabile e sicura, competitiva e in grado di contribuire a ridurre le emissioni di gas serra”, dice al Foglio Maria van der Hoeven, direttore esecutivo dell’Iea. Ma sul futuro dell’energia atomica nei paesi più sviluppati pendono l’abbandono deciso dalla cancelliera tedesca Angela Merkel dopo la tragedia di Fukushima e le difficoltà che incontra in Giappone il programma di rinascita del premier Shinzo Abe. “La Germania aveva già annunciato la fine dell’energia nucleare dopo Chernobyl, ma non l’ha fatto. Certo, ora ha chiuso otto centrali ma le restanti saranno in funzione perlomeno fino al 2021. Inoltre, se non cambieranno le regole sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica, sarà complicato rispettarle in un paese che già oggi produce oltre la metà dell’energia elettrica con il carbone”, dice al Foglio Umberto Minopoli, presidente dell’Associazione italiana nucleare. E l’Italia? “In teoria tra un anno potremmo ridiscuterne, ma la vedo molto dura. Abbiamo perso il tram. E pensare che siamo stati il terzo paese al mondo per tecnologia e produzione. Ma anche l’unico a non attendere la fine del ciclo vitale dei reattori, una volta deciso lo stop, dopo il referendum del 1987”, conclude amaramente Minopoli.

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