Draghi e le riforme all’85esima potenza

I sette anni bui alle spalle, l’Italia fanalino di coda sul pil, lo stop sull’Iva

di Redazione | 22 Maggio 2015 ore 20:00

Riforme, riforme, riforme. Nel suo intervento al Forum dell’Eurotower di Sintra, in Portogallo, il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha usato la parola “riforma” per 85 volte. Un appello energico agli stati dell’Unione, tanto più forte perché cade in un momento in cui si fanno sentire i benefici dell’azione di politica monetaria. “Le prospettive economiche dell’Europa – ha detto il banchiere – sono oggi migliori di quanto non lo siano state nei sette anni di crisi”. La politica monetaria sta facendo il suo lavoro, dunque. Ma una ripresa ciclica non basta a eliminare i problemi cronici che affliggono una parte dell’Unione: l’alto debito e, più ancora, “l’alto livello della disoccupazione strutturale”. Ci vogliono le riforme, dunque.

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Anche per quei paesi che hanno già mosso significativi passi sulla strada giusta. Guai se si fermeranno proprio ora, prima cioè che “la flessibilità dell’economia  sia accettata come un Dna comune dell’Unione monetaria. La flessibilità deve diventare un carattere permanente associato alla partecipazione all’area euro”, così come altri tratti comuni, dalla democrazia al rispetto dei diritti umani. Insomma, una volta innescata la ripresa congiunturale, i paesi non possono illudersi di cullarsi nel rispetto dei diritti acquisiti o degli equilibri sociali del passato, tra veti delle categorie o dei sindacati. Il Quantitative easing funziona, ma non in eterno. Da solo comunque non basta ad azzerare lo spread tra l’Europa “core” e paesi, Italia in testa, con una struttura sociale rigida che impone da tempo una crescita con il freno a mano tirato. Se tra un anno l’Italia continuerà a crescere meno del resto d’Europa, la situazione si farà ancora più complicata. Non aiuta certo lo stop di venerdì della Commissione Ue all’estensione del “reverse charge” dell’Iva alla grande distribuzione, con la falla di oltre 700 milioni di euro che crea nei conti pubblici già quest’anno.

 

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