C’è l’ultimo tentativo. Summit e borse giù. “O Tsipras fa una capriola o Atene è fuori. E non è un dramma”.

Il ministro delle Finanze Varoufakis dimissionato perché “alcuni partner dell’Eurozona hanno espresso una qualche preferenza per una mia ‘assenza’”, ha detto lui stesso.  Parla Giavazzi

di Marco Valerio Lo Prete | 06 Luglio 2015 ore 20:33

Roma. Il ministro delle Finanze Varoufakis dimissionato perché “alcuni partner dell’Eurozona hanno espresso una qualche preferenza per una mia ‘assenza’”, ha detto lui stesso. Un accordo sottoscritto dal premier Tsipras con tutti i partiti greci per sostenere i negoziati con l’Europa. Un’apertura mostrata in serata da Angela Merkel e François Hollande (“La porta è aperta a colloqui, Tsipras presenti proposte credibili”) per il vertice di stasera a Bruxelles con tutti i capi di governo. Una disponibilità ad “assistere” Atene venuta dal Fondo monetario internazionale – che ha sollevato appena le Borse, Milano ha chiuso comunque a meno 4 per cento, ai minimi da 5 mesi –, e in serata però una stretta della Banca centrale europea sulla liquidità d’emergenza concessa alle banche greche. Dopo il trionfo referendario greco del “no” alle proposte dei creditori internazionali, i segnali di lunedì vogliono dire che “l’Europa lascia comunque la porta aperta – dice al Foglio Francesco Giavazzi, economista della Bocconi – Ora Tsipras dovrebbe fare una capriola per rientrarci. Se non lo farà, sarebbe una sconfitta per l’Europa ma non un dramma”. E se la capriola non riuscisse alla perfezione, ragiona Giavazzi, a rischiare l’osso del collo sarebbe lo stesso Tsipras, e non la cancelliera tedesca Merkel o noi europei. A giugno, intervenendo sul Financial Times e sul Corriere, Giavazzi creò scompiglio intellettuale sostenendo che “è ormai evidente che i greci non pensano che la loro società debba essere modernizzata”. Ergo, “inutile insistere” con le trattative. Il quotidiano della City, per chiudere la polemica, dimostrò con tanto di tabelle e grafici – su produttività, export, investimenti – che effettivamente di modernizzazione in Grecia se ne vede poca. “Un’ulteriore conferma l’ha data l’affluenza elettorale relativamente bassa, 62,5 per cento, per un appuntamento referendario così importante sul futuro del paese. Un dato deludente”, aggiunge Giavazzi. Che poi traccia due scenari, entrambi complicati per Atene.

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 Iniziamo dallo scenario ottimistico, la “capriola perfettamente riuscita” per dirla con Giavazzi. Premessa numero uno: “I leader europei vogliono sedersi e parlare, ma la palla è nel campo di Atene che deve presentare proposte, come dice Merkel”. Premessa numero due: “Il popolo greco ha votato, quindi Tsipras ha nuovi vincoli da rispettare nell’eventuale negoziato. Da parte europea, però, c’è il vincolo dei paesi che le riforme le hanno fatte, con sforzi non indifferenti, anche sotto la Troika come Irlanda, Portogallo e Spagna. Tra questi due estremi, il terreno non è completamente vuoto”. Il negoziato è difficile perché “la fiducia tradita da Atene, con un referendum vago e convocato da mattina a sera, non si ristabilisce facilmente. E perché, come dimostrano questi cinque anni passati, dai creditori internazionali possono arrivare tutti gli aiuti finanziari che vogliamo, ma se il modello greco non è in sé sostenibile non c’è nulla da fare. Su pensioni, tasse e altro, da Tsipras non si possono più accettare impegni, ma voti in Parlamento”. Ammesso che vada così, il premier greco “nel giro di poche settimane potrebbe tornare al cospetto dei greci e proporre un secondo referendum su quanto ottenuto, questa volta chiedendo di votare ‘sì’. Il sentiero è strettissimo, l’Europa non può valicare alcune linee rosse a meno di non voler rafforzare con le concessioni i populisti di altri paesi, come Podemos o Grillo”.

Sul perché un governo che finora è parso rifiutare ogni compromesso debba rinsavire, Giavazzi ha qualche idea. C’entra la  sopravvivenza stessa di Tsipras. “Il 20 luglio la Grecia deve restituire oltre 3 miliardi alla Banca centrale europea. Se non lo facesse, si esaurirebbe la liquidità d’emergenza (Ela) che tiene in vita le banche greche. Già oggi, ogni giorno che passa con i controlli sui capitali e un tetto massimo ai soldi che è possibile ritirare, l’economia greca cala a picco. Con la chiusura delle banche, dopo poche ore o pochi giorni terminerebbe pure la leadership politica di Tsipras. Ricordo che in Argentina, dopo il default del 2001, cambiarono tre governi in solo un anno e mezzo”, dice l’economista della Bocconi.

Si ricomincerebbe a dire un po’ ovunque che è stata colpa della rigidità della Merkel, non crede? “Sfatiamo qualche mito. L’euro avrà i suoi limiti, come la mancanza di un’autorità politica unica, ma la Grecia è un fallimento indipendentemente da tutto ciò. E’ un paese che rifiuta la modernizzazione. La sua uscita oggi sarebbe una scelta degli stessi greci, una conseguenza della loro ‘rigidità’ e non di quella di Merkel. Comunque non un dramma. Mancando un’autorità politica unica, occorrono delle regole. Chi non le rispetta, è fuori”. Supporter italiani e internazionali di Tsipras non saranno convinti: “Certo, anche il nostro è un paese in cui spesso le regole si aggiustano, non si applicano. Quanto agli economisti-star che hanno fatto appelli per il ‘no’ alla Troika, il minimo che si può dire è che non hanno mai vissuto in Grecia né intendano trasferirvisi”, conclude Giavazzi.

Categoria Estero

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