Strategie sinistre in Europa

L’intensa parabola di Tsipras, il paradigma Spd e il modello Renzi

di Marco Valerio Lo Prete | 22 Agosto 2015 ore 06:18  Foglio

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Roma. “Piccole sinistre crescono”. La crisi economica europea, per gli schieramenti progressisti, assomiglia a un romanzo di formazione così intitolato. Il finale è tutt’altro che scontato, ma la decisione del premier greco Alexis Tsipras di mollare i compagni più oltranzisti e di cercare la rielezione a settembre sulla base dell’accordo riformatore trovato con i creditori internazionali fa intravvedere un esito possibile. Già l’avvio del romanzo in questione, comunque, era stato tutt’altro che scontato: nella più profonda crisi economica e sociale attraversata da decenni dall’Europa, la sinistra infatti non è automaticamente passata all’incasso dei consensi. Anzi. Le elezioni europee della primavera 2014, per esempio, se le è aggiudicate una maggioranza conservatrice.

La partenza delle sinistre, nella più profonda crisi da decenni, è stata dunque in salita. Almeno nell’Eurozona, dove perfino ottenere un posto in una grande coalizione assieme alla destra d’un tratto è sembrato un ottimo risultato per la gauche: nel 2013, nell’Eurozona i governi di grande coalizione erano 8 su 17. Ancora oggi, alle riunione dei ministri dell’Economia dell’Eurogruppo, i rappresentanti di matrice socialista sono 7, quelli liberal-conservatori sono 12. Come uscire da questo status minoritario?

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L’Spd tedesco le ha tentate tutte. Adesso, tramortito, si chiede addirittura se non dichiarare KO tecnico. I socialdemocratici sono stati in grande coalizione con Angela Merkel dal 2005 al 2009, poi hanno tentato l’opposizione dura e pura dal 2009 al 2013, infine sono rientrati in coalizione con l’inscalfibile Merkel, non per chissà quale spettacolare performance ma per il semplice fatto che la cancelliera ha raccolto così tanti consensi da cannibalizzare gli alleati liberali. Oggi lei continua a mietere consensi, la sua Cdu è al 43 per cento nei sondaggi, l’Spd al 23, e così uno dei leader socialdemocratici, Torsten Albig (premier dello Schleswig-Holstein), è arrivato a proporre di saltare il turno elettorale del 2017. Tanto vince lei. E nell’Spd non è stata presa come una boutade.

Il Labour inglese in queste settimane accarezza la svolta radicale, ma il risultato non cambia: rischio KO tecnico pure qui. I conservatori di Cameron, scalzati i laburisti nel 2011, si sono perfino rafforzati alle elezioni di quest’anno nel nome dell’austerity. Adesso Jeremy Corbyn, l’anti Tony Blair sia in politica economica (preferisce nazionalizzazioni e lotta al liberismo) sia in politica estera (preferisce l’isolazionismo e i movimenti islamici alle Coalition of the willing), potrebbe aggiudicarsi le primarie del Labour a settembre. Ma, scrive l’Economist, “la nostra preoccupazione non è che possa arrivare al potere. Anche sotto la guida di Ed Miliband gli elettori giudicarono il Labour troppo sbilanciato a sinistra. La nostra preoccupazione è che Corbyn farà gravi danni come leader dell’opposizione”. Modello Spd, almeno negli esiti: tanto rumore per un po’ d’opposizione.

Il presidente socialista, Hollande, il potere ce l’ha nelle mani. Per conservarlo, guarda in direzione Francoforte. Dopo aver scaldato gli animi nel 2012 con l’austerity da far reingoiare a Berlino, il presidente della Repubblica ha visto che quella strada era sbarrata. Alla svolta radicale, forse perché già al governo, ha preferito quella apparentemente liberale. Prima optando per il premier riformatore Valls. Quindi, questa settimana, tentando addirittura di scavalcare Valls, ha annunciato lui stesso un taglio di tasse da inserire già nella Finanziaria d’autunno. Un capo di governo che l’ha preceduto sulla strada che porta verso le politiche dell’offerta care alla Banca centrale europea, come Renzi in Italia, potrebbe avere qualche consiglio per Hollande. Esempio? Se gli annunci riformatori e anti tasse non sono seguiti a stretto giro da decisioni credibili – nel caso delle tasse “credibilità” è sinonimo di “coperture” – si rischia di perdere abbrivio. Nelle statistiche del pil e nell’opinione pubblica. E così magari di tornare presto all’opposizione.

Oggi la Grecia di Tsipras, più che “culla della democrazia” è “culla del pendolo”. Il leader che era nato come una prosecuzione delle occupazioni scolastiche con altri mezzi, adesso farà campagna su una piattaforma stabilita con la Troika. Al KO tecnico associato al modello dell’“incredibile opposizione” ha preferito i metodi della “opposizione credibile”. O della sinistra di governo. E così si chiude un capitolo di “Piccole sinistre crescono”.

Categoria Estero

COMMENTI

1-      Giovanni • 2 ore fa

A prescindere dalla congruenza di più o meno fumose teorie su schieramenti politici e strategie partitiche emerge ormai una realtà chiara e inoppugnabile : il governo dell'UE è saldamente nelle mani della Germania e dell'attuale cancelliera Merkel. L'obiettivo a cui i teutoni hanno mirato per centinaia di anni con guerre e stermini è ormai nelle loro mani grazie alla indiscutibile organizzazione, scaltrezza e "palle" di cui sono dotati. Chi vi si oppone muore, politicamente parlando: Berlusconi docet. Tsipras ha tentato con testardaggine e con furbizia di ottenere qualcosa ma alla fine ha dovuto cedere. Non è escluso che un giorno la capitale dell'Europa possa essere Berlino. Forse non tutti si rendono conto della potenza economica della Germania. Pochi giorni fa sono stati pubblicati i dati sul numero di brevetti industriali e scientifici ottenuti dalle nazioni del mondo nel 2014. Ebbene al primo posto sono gli USA con circa 72000 brevetti, al secondo posto il Giappone con circa 48000 brevetti, al terzo posto la Germania con circa 31000 brevetti. In realtà se si considera l'importanza tecnologica dei brevetti e il numro di essi per abitante la Germania stacca tutti gli altri e si pone al primo posto. La povera e stradisorganizzata Italietta con i suoi miseri 4680 brevetti (di cui pochi di provenienza industriale) è all'undicesimo posto. I brevetti sono il nuovo oro per un paese e naturalmente escono fuori dove c'è un forte substrato industriale specificatamente di tipo multinazionale ( sono i grandi gruppi industriali che hanno la forza e l'organizzazione sufficiente), una ottima preparazione scolastica e una sufficiente organizzazione generale. A questo punto tanto varrebbe arrendersi senza condizioni alla Germania nella speranza che ci governi tutti con illuminata magnanimità. Amen e così sia.

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