Sanam Vakil: «Isis si batte riformando il Medio Oriente»

Non basta debellare lo Stato islamico. Servono élite rinnovate in Medio Oriente. «Forze estremiste attrarranno sempre il popolo», dice la ricercatrice Vakil.

di Attilio De Alberi | 06 Settembre 2015 Lettera43

L’accordo nucleare con l’Iran «porterebbe gli israeliani direttamente alla porta del forno crematorio», afferma pubblicamente Mike Huckabee, ex-governatore dell’Arkansas e candidato alle primarie repubblicane.

Non è da meno il suo compagno di partito Ted Cruz, giovane senatore del Texas, secondo il quale, nello stesso contesto, l’amministrazione Obama «è la principale finanziatrice del terrorismo radicale islamico».

Tutti sanno che nel Congresso Barack Obama troverà una forte opposizione repubblicana all’accordo: le sopracitate dichiarazioni altro non sono che la punta di un grosso iceberg.

«OBAMA IL NOBEL SE LO È MERITATO». La pensa diversamente Sanam Vakil, nata a Teheran, trasferitasi negli Stati Uniti all’età di sette anni.

È sposata con un italiano e fa la ricercatrice alla Johns Hopkins Sais (School of Advanced International Studies) di Bologna, dove insegna Politica mediorientale.

«Obama sembra proprio meritarsi il Premio Nobel per la Pace», dice. «L’accordo nucleare con l’Iran ha basi molto solide».

 DOMANDA. E la vecchia minaccia iraniana di spazzar via lo Stato d’Israele?

RISPOSTA. «Veniva da Ahmadinejad, un populista. Oggigiorno questa visione appartiene chiaramente solo a una minoranza nello scenario politico».

D. Al di là dell’aspetto puramente militare, c’è un interesse economico nel firmare l’accordo?

R. Assolutamente sì. La fine dell’embargo offrirà molti vantaggi commerciali sia all’Iran che all’Occidente.

D. Tuttavia a sentire certe dichiarazioni iraniane, sembra sussistere un’attitudine bellicosa nei confronti degli Usa.

R. Ci sono alcuni elementi nello spettro politico iraniano che si oppongono a qualsiasi compromesso con quello che viene visto come un “nemico storico”. Ma si tratta di un’opposizione verbale. Quello che conta è che l’accordo abbia ottenuto l’imprimatur dal leader supremo Ali Khamenei.

D. A parte l’opposizione repubblicana all’accordo nucleare, Israele potrebbe creare dei problemi a Obama?

R. Innanzitutto credo che Netanyahu stia esagerando nella sua opposizione. Detto ciò, questa è una decisione nazionale americana.

D. Ma è noto anche come la lobby israeliana negli Stati Uniti sia molto potente.

R. Sì, ma bisogna anche sapere che la maggior parte dei cittadini ebrei americani è favorevole all’accordo.

D. L’arrivo di un presidente repubblicano o di Hillary Clinton alla Casa Bianca potrebbe cambiare qualcosa?

R. Non ci si potrà allontanare più di tanto al corso avviato da Obama. La Clinton, tra l’altro, si è dichiarata favorevole all’accordo con l’Iran.

D. Esiste la possibilità per l’Iran di una transizione dalla teocrazia a una vera democrazia?

R. Credo che la maggioranza della popolazione sia favorevole a una maggiore democrazia. Ma chiaramente il processo sarà graduale.

D. Potrà succedere qualcosa alla morte di Khamenei?

R. Potrebbe crearsi un triumvirato in sostituzione della figura del leader supremo.

D. La posizione delle donne in tutto questo?

R. Sono senz’altro favorevoli a una maggiore democrazia e non dimentichiamo che possono votare. La loro posizione si sta rafforzando col tempo.

D. Sussiste una forma indiretta di conflitto tra Usa e Iran nello Yemen, per esempio, dove i ribelli sono sciiti?

R. Bisogna capire che nel Medio Oriente la situazione è assai complessa. Il principale conflitto, che si protrae da decenni, è tra Arabia Saudita e Iran, le maggiori potenze regionali.

D. Ma c'è dell'altro...

R. In realtà questo conflitto che si basa anche su differenze religiose, sunniti contro sciiti appunto, è una grossa distrazione dai problemi di natura sociale, economica e politica interni a ogni Paese. E questo si applica non solo allo Yemen, ma anche all’Iraq, alla Siria e al Libano.

D. I conflitti religiosi possono apparire a noi occidentali un po’ obsoleti, come le lotte tra cattolici e protestanti di quattro secoli fa.

R. Certo. Al tempo stesso non dimentichiamo che tutti questi Stati sono una recente creazione dell’Occidente. L’Arabia Saudita, per fare un esempio, nasce nel 1932. Questo revival di conflittualità religiosa è uno dei tanti modi per nascondere un problema più profondo di leadership e, se vogliamo, di maturità politica e sociale.

D. Sembra crescere una nuova tensione tra israeliani e palestinesi, soprattutto dopo gli ultimi fatti di sangue in Cisgiordania.

R. Tutto questo è semplicemente il riflesso di un fatto: Netanyahu è ormai al potere da 10 anni e non ha veramente affrontato i problemi domestici. Questo si traduce in un’insoddisfazione di fondo non solo tra gli israeliani, ma anche tra i palestinesi.

D. Secondo certi osservatori le dichiarazioni di Netanyahu sulla violenza di certi coloni contro i palestinesi sono vacue: in realtà non cambierà nulla.

R. Molto probabilmente no.

D. La Turchia di Erdogan forse si è decisa ad aggredire l’Isis, ma al tempo stesso pare volerlo fare di più verso i curdi. E gli Stati Uniti appaiono piuttosto remissivi.

R. La Turchia finalmente ha scelto di intervenire per arginare l’avanzata dell’Isis. Ok, questo è un passo avanti, anche se gli Usa sono consapevoli dell’attitudine aggressiva turca verso i curdi.

D. E la posizione dell’Iran verso i curdi?

R. Avendo l’Iran, a sua volta, una popolazione curda entro i suoi confini, non c’è da sorprendersi se il suo atteggiamento sia volto a mantenere un’unità territoriale e quindi a non vedere di buon occhio un tentativo di unificazione dei curdi.

D. Ma ultimamente gli stessi curdi del Pkk sembrano aver rinunciato all’idea di uno Stato unico e quindi accettano l’idea di comunità curde separate in Turchia, Siria, Iraq e Iran. Dov’è la minaccia?

R. Sì, non è una seria minaccia. Eppure i curdi continuano a essere percepiti come un problema.

D. Si può dire che, paradossalmente, l’Iran e la Turchia, non esattamente degli “amici”, trovano un terreno comune sulla questione curda?

R. In realtà da molti anni l’Iran e la Turchia sono molto “amici” dal punto di vista degli scambi economici. Però due questioni li dividono: l’Isis, verso il quale l’Iran è decisamente più aggressivo, e Assad, tradizionale alleato di Teheran, ma un nemico per Ankara.

D. C’è stato un recente incontro tra il Segretario di Stato americano Kerry e il ministro degli Esteri russo Lavrov. Ci si muove verso un accordo che includa un regime change in Siria, e questo potrebbe includere un’uscita di scena di Assad.

R. Sì, prima o dopo, fermo restando che sia gli Usa sia la Russia sono opposti all’Isis, non è da escludere una qualche soluzione salva-faccia per Assad che trovi d’accordo le due super potenze. Una di queste potrebbe consistere nel far rimanere al potere Assad, ma in controllo di un’entità territoriale ridotta.

D. Gli Usa potrebbero fare di più per combattere l'Isis?

R. Può darsi, ma quello che è più importante, nel lungo termine, è una riforma politica e sociale nel Medio Oriente. Se ciò non avviene ci potrà sempre essere qualche forza simile all’Isis che attrae parte della popolazione.

D. Come Boko Haram in Nigeria, il cui successo è legato alla povertà di molti giovani che entrano nelle sue fila e al fatto che i soldati governativi sono sottopagati?

R. Esattamente. La storia è sempre la stessa. Ciò che manca in Medio Oriente, e l’Iraq è un classico esempio, è quella che Gramsci chiamava la “circolazione delle élite”.

D. Cioè?

R. La capacità di certe élite di mettersi da parte per fare posto al nuovo. La democrazia è compromesso, in questo senso, e quindi c’è ancora molta strada da fare, temo.

D. Che ruolo gioca la Cina nella schacchiera mediorientale?

R. Ha interessi specifici nel Medio Oriente a causa del suo bisogno di risorse energetiche, di commercio e di commesse militari. Al tempo stesso i cinesi non sono favorevoli all’intervenzionismo negli affari domestici, per lo stesso motivo per cui non gradiscono alcun intervento internazionale nei loro affari. Una cosa è certa: l’accordo con l’Iran offrirà grandi opportunità a Pechino.

Sanam Vakil, docente di Politica mediorientale a Bologna.

Categoria Estero

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