Missili anche dal mare e offensiva di terra: Putin si prende la Siria

Dopo i raid Assad invia colonne di tank: i ribelli resistono. Caccia americano cambia rotta per evitare quelli russi

 08/10/2015  MAURIZIO MOLINARI  DA GERUSALEMME La Stampa

È una pioggia di missili russi dal Mar Caspio che apre la strada all’offensiva di terra di Bashar al Assad contro i ribelli. Ad una settimana dall’inizio dei raid sulla Siria, Vladimir Putin lancia l’attacco militare russo più massiccio dalla fine della Guerra Fredda. 

Poco prima dell’alba da quattro navi lanciamissili in navigazione nel Mar Caspio partono almeno 26 missili Kalibr, l’equivalente dei Tomahawk americani. Ognuno porta fino a 2300 kg di esplosivo a destinazione su obiettivi distanti circa 1500 km. La rotta che seguono descrive la mappa della coalizione guidata dal Cremlino: sorvolano l’Iran di Ali Khamenei e attraversano l’Iraq di Haider Al-Abadi per piombare sulla Siria Occidentale con una raffica di esplosioni percepita quasi come un sisma nelle province di Idilib e Hama.

 

Tempesta di fuoco 

Il ministro della Difesa di Mosca Sergei Shoigu parla di «11 obiettivi di Isis colpiti, portando a 112 il totale in sette giorni» ma i comandi turchi, che controllano l’area con radar e satelliti Nato, ribattono che «in quell’area lo Stato Islamico non c’è» e i Kalibr ne avrebbero centrati «solo 2». Testimoni locali descrivono all’Osservatorio per i diritti umani in Siria, basato a Londra, «esplosioni che squarciano il cielo». 

È una tempesta di fuoco a cui seguono i raid aerei. Sono almeno 37 gli attacchi dei caccia decollati dalle basi lungo la costa alawita. I Sukhoi-30 sono padroni dello spazio aereo, i Sukhoi-24 eseguono gli attacchi a terra. Bersagliano a Jabal al-Zawiya e Jisr al-Shughour le posizioni dei ribelli islamici della coalizione di Jaish al-Fatah, composta da gruppi sostenuti da Arabia Saudita, Turchia e Qatar più Al Nusra, emanazione di Al Qaeda. L’intento non è solo demolire postazioni fortificate, comandi, campi di addestramento e arsenali ma terrorizzare il nemico. Fargli sentire tutta la potenza del fuoco russo. Impossibile una valutazione delle perdite inflitte ma dalle zone più colpite Tajammu Alezzah, comandante di un gruppo filo-Usa, fa arrivare all’Associated Press un sms: «È iniziata l’offensiva di terra».

È il suono dell’artiglieria russa posizionata a Morek, lungo l’autostrada Damasco-Aleppo, che accompagna le avanzate di truppe siriane lungo tre direttive fra Latameh e Kfar Zeita. Siamo nel Nord della provincia di Hama, nelle aree rurali confinanti con la provincia di Idlib, finora saldamente nelle mani dei ribelli. Il comando russo ha deciso di sfondare dove il nemico si sente più forte e manda avanti la fanteria d’assalto siriana. Ahmad al Ahmad, attivista di Idlib, parla di «un fronte di avanzata di 16 km» con «iraniani e russi che affiancano i siriani» preceduti da blindati e tank. «Abbiamo distrutto due carri siriani, ma ne hanno dozzine» dice Ahmad. Mortai dei ribelli cadono a Baalbeck, culla di Hezbollah in Libano, ferendo cinque militari.

L’uso soverchiante della forza nelle avanzate è la tattica degli ufficiali russi, proietta potenza militare e superiorità psicologica. È un rullo compressore per riprendere il controllo dell’autostrada Damasco-Aleppo, bloccata dai ribelli dal 2012, e incunearsi in profondità nelle roccaforti nemiche. I «comitati locali di combattimento» usano i missili anti-tank Usa, forniti dai sauditi, mentre i siriani hanno la copertura degli elicotteri russi. Le operazioni militari sono a tal punto intense che il Pentagono fa invertire la rotta a un suo aereo in Siria per evitare la «zona a rischio». È una decisione che sembra un riconoscimento del nuovo ruolo russo.

Il plauso del Cremlino 

È una guerra anche di immagini. Il Cremlino diffonde la foto di Putin con il ministro Shoigu, seduti uno di fronte all’altro nello studio del presidente attorno alle mappe delle operazioni, e poi il video del lancio dei missili con traiettorie e obiettivi su mappe tridimensionali. L’intento è trasmettere l’immagine di una leadership forte alla guida di un esercito hi-tech. Le parole attribuite a Putin sono: «I militari lavorano bene, dimostrano ottima preparazione». È un modo per dire che la Russia è tornata potenza: adopera il Mar Caspio come il Pentagono fece con il Mar Rosso negli interventi in Iraq e Libia, nel 2003 e 2011; lancia un numero di cruise che rivaleggia con il debutto di Iraqi Freedom contro Saddam; dimostra coordinamento con gli alleati di terra. 

Ron Ben Ishai, analista militare a Tel Aviv, parla di «Russia con nuovo status militare globale» capace di «evitare i cieli turchi passando sopra Iran e Iraq perché alleati» nonché impegnata a testare «armi e tattiche nuove come fecero i tedeschi con gli Stukas nella guerra di Spagna». Jeffrey White, veterano del Pentagono in forza al Washington Institute aggiunge: «La presenza militare russa in Medio Oriente non sarà facile da rimuovere» in maniera analoga a «Crimea, Ucraina e Georgia». L’unico fastidio operativo sono i jet turchi sui confini siriani e, per il terzo giorno di seguito, l’antiaerea siriana li «illumina» con un avvertimento esplicito sui rischi che corrono.

Baghdad si allinea a Mosca 

Mosca si prepara a estendere le operazioni all’Iraq. A Baghdad i partiti sciiti al governo chiedono al premier Haider Al-Abadi di «chiedere ai russi di colpire Isis anche qui». Dietro c’è l’Iran che vuole l’Iraq a pieno titolo nella coalizione. L’altro tassello del mosaico russo è Israele: il vice capo di Stato Maggiore Nikolai Bogdanovsky ha incontrato il parigrado Yair Golan nel ministero della Difesa a Tel Aviv definendo il coordinamento militare per evitare collisioni in Siria. E ancora: Mosca invia ingenti quantitativi di armi ai peshmerga curdi in Iraq. Putin li vuole dentro il patto «anti-Isis» che sta già ridisegnando un Medio Oriente. Come finora riusciva solo agli Stati Uniti.

Categoria Estero

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