Bosnia, l’Islam radicale alle porte d’Italia (nel cuore dell’Europa

Centro di preghiera salafita voluto dall’imam Husein Bosnić che tutti chiamano Bilal, il più grande reclutatore europeo di jihadisti. Confine a 200 Km. da Trieste

dall’inviato Andrea Pasqualetto, Corriere della Sera 28.12.2015

BUŽIM (Bosnia Erzegovina) – La strada si fa stretta, sterrata, le case diradano. Velika Kladusa è alle spalle e non rimane che salire affidandosi al vecchio Murat che conosce bene questa triste montagna di confine: «La terra di Bilal è lassù, bisogna tenere gli occhi aperti».

Altri cinque chilometri di sassi e buche ed ecco spuntare su un prato scoperto lo scheletro di un edificio in costruzione. È il centro di preghiera salafita voluto dall’imam Husein Bosnić che tutti chiamano Bilal, il più grande reclutatore europeo di jihadisti. Così, almeno, lo considerano varie procure che hanno trovato tracce tangibili del suo passaggio in Svezia, Austria, Slovenia, oltre che a Roma, Cremona, Bergamo e Pordenone. Indagato anche in Italia dall’antiterrorismo di Venezia per aver promosso la Guerra santa e radicalizzato musulmani prima moderati come i «bellunesi» Ismar Mesinovic (poi morto in Siria) e Munifer Kalamaleski, Bosnić è stato arrestato e condannato il mese scorso a 7 anni dal tribunale di Sarajevo. Per «attività terroristica attraverso il reclutamento di persone della comunità salafita, diventati parte dell’Isis allo scopo di compiere attentati terroristici», scrive nell’atto d’accusa il procuratore Dubravko Čampara che gli ha dato la caccia per lungo tempo. E che la settimana scorsa ha ottenuto l’arresto di 11 sospetti terroristi che stavano pianificando un attentato a Sarajevo «puntando a uccidere oltre 100 persone».

A Bosanska Bojna, in questa landa isolata di Nord Ovest, il predicatore ha comprato otto ettari di terra «usando denaro arrivato dal Qatar che gli ha versato 200 mila dollari», aggiunge sospettoso Čampara. La scelta del luogo non è casuale. Si tratta infatti di un’area di confine molto particolare: di qua c’è la Bosnia, Stato extracomunitario e cuore musulmano d’Europa, di là la cattolica Croazia e l’Unione europea. Dal gennaio 2016 la repubblica croata sarà anche area Schengen e quindi le persone potranno circolare più liberamente verso gli altri Stati membri. L’Italia poi è a portata di orizzonte: 210 chilometri, Trieste.

Villaggi salafiti, terreni e sharia: l’islam radicale alle porte d’Italia (nel cuore dell’Europa)

Villaggi salafiti, terreni e sharia: l’islam radicale alle porte d’Italia (nel cuore dell’Europa)

Il confine di Bosanska

Proseguiamo sullo sterrato, oltre il «regno» di Bosnić. Fatte quattro curve ecco l’importante frontiera europea: una sbarra arrugginita con appeso un cartello di stop a interrompere la stradina e, dieci metri più in là, un gabbiotto bianco abbandonato dove un tempo forse c’era qualche poliziotto. Fine. Chi volesse evitare divise e dogane qui, fra i boschi di Bosanska Bojna, può farlo. Cittadini, predicatori, ma anche combattenti, terroristi. E soprattutto trafficanti d’armi, visto che la Bosnia è un po’ la santabarbara d’Europa per via della guerra degli anni Novanta che ha riempito i Balcani di mitra e munizioni. «I proiettili di Charlie Hebdo sono stati fabbricati a Mostar, alcuni kalashnikov delle ultime stragi arrivano dalla ex Jugoslavia. Parigi ci sta chiedendo collaborazione e verifiche e noi stiamo procedendo», ricorda Igor Golijanin, giovane capo di gabinetto del ministero della Sicurezza che ha alzato il livello di allarme.

Dalla prospettiva di Bosanska le parole di Bosnić suonano ancor più sinistre: «Si comincia dai boschi, raduniamo i migliori eserciti e cadranno i migliori martiri», «ciò che più rallegra Allah sono i suoi schiavi quando vanno fra gli infedeli e combattono finché non vengono uccisi», «questo significa prepararsi a una legge islamica»,  «un giorno il Vaticano sarà musulmano».

Intorno al confine solo sterpaglie, faggi ingrigiti dall’inverno e un paio di casette in legno con i camini che fumano. Da una finestra si affaccia un signore alto e magro che sembra Clint Eastwood. É Zlatko Popovic, funzionario di polizia in pensione: «Non preoccupatevi, non c’entro con la frontiera… Bilal? Eh, è chiaro che lui e i suoi seguaci non sono venuti qui casualmente. In questa terra non ti vede nessuno, non ci sono controlli e sei molto vicino agli Stati del Nord». Bosnić lo sa bene e lo sanno anche i suoi sponsor arabi qatarioti che gli hanno messo in mano i dollari del deserto per realizzare un masjid fra le montagne europee più ruvide e nascoste.

I dollari del deserto

«Ci risulta che siano diversi paesi arabi che stanno investendo: Qatar, Emirati, sauditi… spesso attraverso bosniaci salafiti o wahhabiti», indica Golijanin sulla cartina geografica del suo ufficio di Sarajevo puntando il dito sulle valli nordiche.

Salafiti e wahhabiti significa islam sunnita, radicale, ultraconservatore, intriso della sharia più rigida che non disdegna la Guerra santa. Anche questa è un’eredità della guerra dei Balcani quando in Bosnia arrivarono oltre duemila mujaheddin dai paesi arabi, dalla Cecenia e dall’Afghanistan, per combattere a fianco dei musulmani bosgnacchi, storicamente moderati, contro i cattolici croati, gli ustascia e gli ortodossi serbi. Lì esplosero le anime religiose dell’ex Jugoslavia che secondo l’intelligence ha portato alla nascita di una decina di piccoli villaggi fondamentalisti dove di tanto in tanto sventolano le bandiere nere dello Stato islamico e le donne girano in niqab o in hijab e dove la legge è quella del Corano. «In questi luoghi si arriva da una sola strada visibile dall’alto perché devono vedere chi sale. Si trovano in aree confinanti fra province o fra cantoni o sulla linea della Croazia dove non si sa bene quale sia la polizia competente, rendendo meno efficace l’attività repressiva», spiegano gli uomini del Sipa, le forze speciali di polizia.

I 10 villaggi

L’enclave salafita più controllata è Gornja Maoca, a Nord Est, altri piccoli centri si trovano fra i boschi più centrali di Teslić, Osve, Maglaj, Gluha Bovica, Mehurići, Zenica, teatro della sanguinosa guerra dei Balcani con i primi tagliagole dell’età contemporanea.

Golijanin sforna qualche dato: «Abbiamo circa duemila fondamentalisti che, attenzione, non significa terroristi. Al momento ci risultano circa 150 foreign fighters, in un paese con meno di 4 milioni di abitanti. Più di trenta sono morti in Siria, una cinquantina sono rientrati. Il nostro obiettivo è deradicalizzare. Se andate lì fate attenzione».

Noi siamo a Nord Ovest, nel cantone di Bihać, dove i wahhabiti hanno messo radici a piccoli gruppi fra Velika Kladusa e Bužim, tutti un po’ legati alla predicazione di Bosnić. Il quale dalla prigione di Sarajevo sta delegando molto.

La riprova ce l’abbiamo proprio a Bosanska. Facciamo appena in tempo a salutare l’agente Zlatko che arriva una vecchia Opel a tutta velocità. L’uomo frena, scende, si agita. Urla in bosniaco qualcosa di molto duro e minaccioso. Ed è pure buio. Non è una bella situazione. Chiede chi siamo, pretende le foto che abbiamo scattato. Poi succede qualcosa di incomprensibile e di colpo si calma e dice pure il suo nome: Hakmed Mustafic. È l’amico fidato di Bosnić. A lui l’imam ha affidato le chiavi della proprietà: «E trentamila euro, che restituirò appena posso. Conosco Bilal da quando era piccolo, è una brava persona, la sua famiglia ha molti problemi adesso». Già: ha 43 anni, quattro mogli e 17 figli da mantenere. «Diciotto, l’ultimo è nato dopo l’arresto. Lasciatelo stare». Bilal e Hakmed sono cresciuti fra le montagne di Bužim, nel villaggio di Šišići, una ventina di chilometri più a Est. Ci andiamo.

“L’imam era un pastore prepotente”

La casa di Bosnić è molto grande, su tre piani, meno di uno per moglie, ed è nascosta dai panni stesi su ogni terrazzo: 18 fra bimbi e ragazzi. C’è un altoparlante sul tetto, una scritta araba su un muro, lo stesso dove è stata tolta una bandiera nera con la scimitarra. «Non parliamo, lasciate stare mio papà», dice un tenero bambino.

Procediamo e arriviamo al villaggio. Sei case, molto fango, un ruscello. Le donne, tutte col velo, entrano in casa. Esce l’uomo più anziano, il quarantatreenne Kasim Šišić, un ex ufficiale dell’esercito bosniaco che è anche il rappresentante di una dzemat, la comunità islamica del posto. Kasim fuma e sorprende: «Ve lo racconto io Bilal, lo conosco da sempre. Lui era un contadino come me, un pastore, figlio di un uomo che era andato anche in Germania a lavorare, faceva le pulizie alla stazione di Stoccarda. Adesso lui sembra un imam, un teologo, e io un contadino stupido. Non mi piace, eravamo uguali. E tutta questa santità non la vedo, soprattutto quando portava le pecore a pascolare sulla mia terra. Da bambino poi era una di quelli che non voleva perdere a pallone». Insomma, non lo ama. «Soffre di un complesso di superiorità. Lo vedi quell’altoparlante? Io dico che quando si abbassano gli ascolti si comincia ad alzare la voce… Non so francamente cosa abbia fatto lui ma non si manda la gente a uccidere».

Il falegname della sharia

A Šišići c’è chi è meno ostile di Kasim. È il falegname Rasim, che stenta a farsi vedere per ragioni ideologiche. Rasim ha la barba salafita e la sua famiglia osserva la sharia, come Bosnić. Niente alcol, niente televisione, moglie col velo, di sera accompagnata da un parente, vietati il ballo e la musica strumentale e tutto ciò che è immagine, compresa l’arte sacra. «Evitiamo ciò che può allontanare da Allah e corrompere l’anima», semplifica Rasim con un sorriso buono e uno sguardo estatico che evita di incrociare quello dell’interprete: donna, capelli sciolti. E la guerra? «Solo se ti attaccano è consentita».

A Bužim il 99 per cento della popolazione é di fede musulmana. Il sindaco del paese è il tipo che non t’aspetti: giacca, cravatta e camicia azzurra: «I salafiti sono isolati ma non sono pericolosi. La sharia? Lasciamo fare se non è contro la legge». E la poligamia? «Bosnić ne ha sposata una, le altre sono conviventi. Dirò di più: i suoi figli sono spesso i più bravi della classe».

L’avvocato: La democrazia ha fallito

Nel centro della Bosnia, fra le montagne di Vlasic, le forze speciali di polizia del Sipa stanno controllando altri due villaggi salafiti. Nella vicina Travnik a simpatizzare per i salafiti c’è pure un avvocato, Adil Lozo. Non uno qualsiasi: è il legale di Bosnić, sempre lui. Lozo ci accoglie in uno studio semplicissimo preparando un caffè cremoso. Ha il baffo folto e il carattere spigoloso come la sua terra. «La democrazia – dice – ha dimostrato il suo fallimento, i sistemi democratici lo hanno dimostrato. La legge perfetta è la sharia. Nessuno ruba, nessuno tradisce, nessuno uccide. Io a Medina ho visto oreficerie protette da una sola tenda. Bosnić vuole questo e nient’altro». 

E tutti i giovani che ha mandato a morire in Siria? «Non ha mai detto di andare a combattere, le scelte sono personali, e poi in Siria ci sono sei eserciti». Parigi? «Io non so se è stato l’Isis, non credo all’informazione». L’avvocato va oltre le parole del Reisu-l-ulema di Sarajevo, Husein Kavazović, massima autorità musulmana del Paese, che ci invita nel centro islamico più autorevole della Bosnia Erzegovina: «Condanno i fatti di Parigi, condanno certi atteggiamenti radicali e quel Bosnić non è un imam». Anche l’ambasciatore italiano a Sarajevo, Ruggero Corrias, riconosce l’esistenza «di una minoranza di comunità radicali e, da queste, numerosi individui si sono recati a combattere in Siria».La Bosnia sembra una silenziosa polveriera. La convivenza pacifica di un tempo è diventata tensione, i rapporti fra popoli sospetti e sempre di più legati alle diverse fedi, un tempo temperate dal laicismo comunista. Un mondo sul quale piovono notizie che allarmano. Bandiere nere, sharia, campi di addestramento per jihadisti «Questi hanno fatto un ottimo addestramento in Bosnia», dice per esempio tale Halabja Faluja, intercettato dal Ros di Trento che sta indagando sullo jihadismo (quello di Padova invece lavora su Bosnić). «Garantisco io, nessun campo», frena Golijanin. Resta comunque un paese da allarme rosso.

Una cappella e 27 moschee

A Sarajevo i musulmani sono passati dal 65 per cento dei primi anni Novanta al oltre il 90 per cento. Nel Nord Ovest stesse percentuali e anche oltre. «Abbiamo 27 moschee, una chiesa ortodossa e una cappella cattolica», sintetizza con orgoglio l’imam di Velika Kladusa, Ćoragić Zumret, che si trova però a fare i conti con le minacce dei gruppi integralisti: «Io non li ascolto e dico: nessuna assoluzione per Parigi ma nessuna assoluzione neppure per le molte stragi di civili musulmani. Combatto il radicalismo di Bosnić».

Se ce l’avesse di fronte cosa gli direbbe? «Fratello Bilal, a cosa ti è servito tutto questo? Allah ti giudicherà, lo insegna il Corano: pagherai per tutte le volte che hai portato qualcuno sulla strada sbagliata».

Il cielo è grigio, il freddo pungente. Dal minareto si leva  lento il salmodiare di un muezzin che sembra il lamento della terra

Categoria Estero.

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata