“Il blitz di Gentiloni in Libia è stato un atto di illegalità”

Khalifa Ghwell leader del governo non riconosciuto di Tripoli: «Intollerabile l’incontro con Sarraj, la prossima volta useremo la forza»

I segni dell’attentato suicida provocato ieri da un kamikaze Isis a Misurata

14/04/2016 FRANCESCO SEMPRINI TRIPOLI, La Stampa

«Quello compiuto dal ministro degli Esteri italiano è un atto di illegalità che viola la sovranità libica garantita dall’unico esecutivo legittimo. Il nostro». Così Khalifa Ghwell, primo ministro del governo di Tripoli, replica alla visita ufficiale di Paolo Gentiloni a Fayez al Sarraj. Dopo l’insediamento del neopremier nominato nella base navale di Tripoli, Ghwell si era trasferito a Misurata, per tornare qualche giorno con la protezione delle milizie pronto a opporsi all’esecutivo appoggiato dalla comunità internazionale. Per incontrarlo attraversiamo Tripoli sino oltre la Collina verde, a Salà Adi, dove c’è la caserma di Al Iarmuk. Un tempo qui erano di stanza le forze comandate da Khamis Gheddafi, figlio più piccolo del colonnello, morto nell’agosto del 2011. Il compound è circondato dalle milizie di Misurata, quelle che hanno riaccompagnato Ghwell a Tripoli. Ci accoglie dopo un’oretta di anticamera. «Benvenuti amici italiani, qui siete sempre benvenuti»: ci tiene a precisare che è un ingegnere e ha molti affari in Italia, soprattutto al Nord dove ha vissuto e dove si reca. Ricorda con simpatia Silvio Berlusconi, «un uomo pacifico che teneva al bene e alla prosperità del suo popolo», e si concede qualche digressione sulle attrazioni locali. In un attimo però diventa scuro in volto.

Come giudica la visita di Gentiloni? 

«Non è stato affatto piacevole quello che ha fatto ieri il governo italiano, soprattutto alla luce dei buoni rapporti che l’Italia e la Libia hanno avuto per molti anni. Non è tollerabile. A comandare è il popolo libico, la cui espressione è il Parlamento di Tripoli che ci ha conferito il mandato di governo. Noi abbiamo il controllo dell’80% del territorio. Se poi arriva uno qualsiasi e pretende di comandare perché sponsorizzato da Europa o Onu non ci interessa, noi facciamo gli interessi del popolo libico, a loro rispondiamo».

Cosa vuol dire? 

«Quello compiuto dal vostro ministro degli Esteri è un atto di illegalità, il governo italiano ha violato le nostre leggi».

E se dovesse ripetersi, non solo da parte dell’Italia? 

«Non sarebbe tollerabile, faremmo una denuncia all’Onu perché si tratterebbe di una violazione allo stato di diritto libico e siamo pronti a opporci con tutta la nostra forza».

È un avvertimento? 

«Assolutamente si».

Prima di Sarraj quali erano i vostri rapporti con l’Italia? 

«Ci hanno sempre ignorato, noi abbiamo tentato di allacciare relazioni, abbiamo avuto contatti, specie col viceministro degli Esteri, ma non siamo mai stati ricambiati. E dopo due settimane dall’arrivo di Sarraj sono venuti qui da lui in visita ufficiale».

La Francia sta lavorando per riaprire l’ambasciata a Tripoli. È in contatto con voi? 

«Non abbiamo ricevuto nessuna richiesta e se lo hanno fatto con altri questa è un’altra violazione della sovranità libica».

L’Italia sostiene di avere una ragionevole fiducia che Tobruk presto darà appoggio a Sarraj... 

«Sino a questo momento non mi sembra che ci sia questo orientamento, piuttosto direi che i nostri rapporti con loro sono molto migliorati». 

Perché non riconoscete il governo di Sarraj? 

«È privo dell’accordo politico che gli consente di avere la legittimazione popolare, attraverso il sostegno del Parlamento di Tobruk e del Parlamento di Tripoli. Quelli che hanno firmato prima non erano legittimati a farlo, è stato un giochetto pensato da Bernardino Leon approfittando che gli incaricati con delega alla firma erano assenti. E questo piano è stato portato avanti grazie all’appoggio anche economico del principe degli Emirati. Poi è arrivato Martin Kobler credendo di essere il responsabile della Libia e ha fatto passare il governo di Sarraj».

Se però ci fosse il sostegno dei due Parlamenti? 

«In quel caso siamo pronti a rimettere i nostri mandati. Non siamo attaccati al potere e abbiamo a cuore gli interessi di un popolo, il nostro, che da troppo tempo fa i conti con condizioni economiche e di vita complicate».  

Categoria Estero

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