Gestire affari all’estero è una cosa seria

Gestire affari strategici in Algeria è una cosa seria. In America. Così

Washington lascia correre quando la magistratura africana, per motivi tutti interni, se la prende con i suoi colossi

Lo scenario di partenza è il seguente: la magistratura algerina, sollecitata dai potenti servizi segreti del paese, apre un’inchiesta per tangenti che coinvolge la principale società statale del settore petrolifero, Sonatrach, e anche un importante gruppo straniero. L’inchiesta, secondo accreditati osservatori, appare finalizzata a destabilizzare equilibri di potere interni, più che a fare effettivamente pulizia. A questo punto, però, tutto cambia a seconda della nazionalità della società straniera che, a torto o a ragione, appare coinvolta. Se la società è italiana, come nel caso di Saipem, allora la nostra magistratura è probabile che prenda spunto dalle inchieste dei colleghi algerini e decida di indagare i vertici di un player mondiale che offre servizi nel settore petrolifero, impegnato – come tutti i concorrenti – in paesi ricchi di idrocarburi ma poveri di buon governo. Così è andata nel caso dell’indagine avviata dalla procura di Milano nei confronti della dirigenza di Saipem (e dalla settimana scorsa anche del colosso petrolifero Eni, società autonoma ma controllante di Saipem).

Si prenda ora lo stesso scenario algerino e si cambi la nazionalità del gruppo straniero coinvolto. Se la società colpita nella “faida” algerina è di nazionalità statunitense, per esempio, è probabile allora che la diplomazia americana si attivi per contenere i danni e che in patria la notizia sia diffusa con una consapevole discrezione.

Il parallelo, tutt’altro che ardito, emerge da un libro-inchiesta che da qualche mese circola in Francia e che negli scorsi giorni è stato citato anche in Italia per ricostruire l’origine delle vicende giudiziarie (algerine e poi italiane) che coinvolgono Saipem. Il pamphlet, “Histoire secrète du pétrole algérien”, edizioni La Découverte, è stato scritto da Hocine Malti, ingegnere e tra i padri fondatori di Sonatrach, società statale algerina che ha il monopolio del settore degli idrocarburi. Un monopolio cruciale, considerato che la vendita di petrolio e gas assicura il 60 per cento delle entrate fiscali e il 36 per cento del pil di Algeri. Racconta Malti, che secondo il Monde descrive sapientemente “la malattia dell’oro nero”, che l’inchiesta del 2010 su Sonatrach fu avviata innanzitutto per ragioni interne al regime. “Una inchiesta portata avanti dai servizi segreti algerini, il Département du Renseignement et de la Sécurité, e che riguarda alcune malversazioni registrate in occasione di contratti d’importanza relativamente minore, che ha portato all’arresto dei vicepresidenti e del presidente del gruppo”. Continua: “Il Drs, che ha iniziato le ostilità scoprendo degli affari piuttosto imbarazzanti per il clan del presidente (Abdelaziz Bouteflika, ndr), ha cercato di imporre la sua volontà”. E’ da quello scontro interno al potere autoritario algerino per il controllo della ricchissima Sonatrach che sarebbe originata la vicenda che coinvolge, tra i vari gruppi stranieri, l’italiana Saipem.

Nello stesso libro, però, Malti racconta un caso simile, del 2006, con al centro ancora una volta Sonatrach. Allora però, nel confronto tra Bouteflika e servizi segreti locali era finita Brc, società partecipata al 49 per cento da Kbr (del colosso statunitense Halliburton, a volte concorrente di Saipem) e al 51 per cento da Sonatrach. Anche allora la magistratura algerina lasciò intendere che gli episodi di corruzione coinvolgevano gli stranieri. Washington però intervenne subito attraverso il suo ambasciatore dell’epoca, Robert S. Ford: “E’ un affare algerino. I responsabili algerini hanno deciso di sciogliere la società Brc”. Halliburton ottenne i soldi per la quota societaria che si era vista costretta a vendere, conclude Malti, e tutto finì lì, senza che il circo mediatico-giudiziario si trasferisse a Washington. Il Foglio, 14/2

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