Napolitano in Usa e Europa 2

 Nel corso della visita negli Stati Uniti di Giorgio Napolitano,

che proprio perché svolta in modo inusuale alla vigili della fine della sua presidenza sembra testimoniare il particolare rapporto di stima con Barack Obama, sono giunte congratulazioni per la scelta a suo tempo sostenuta dal presidente della Repubblica di dare vita a un governo tecnico, molto apprezzato oltreatlantico. Indicazioni persino più robuste a favore di Mario Monti sono venute, oltre che dalla stampa finanziaria anglosassone (ancora l’ultimo numero dell’Economist), dal governo tedesco per bocca del ministro dell’Economia Wolfgang Schäuble e da vari esponenti della Commissione europea.

L’interesse dei partner per le elezioni italiane è segno del rilievo che, nel bene e nel male, le scelte dell’Italia, terza economia continentale, hanno nel quadro di  un sistema sempre più globale e interdipendente. Non c’è da stupirsi e tanto meno da scandalizzarsi per certe “interferenze”, che peraltro non sono una novità. In un bel racconto, Leonardo Sciascia rievocava l’influenza che gli “zii di Sicilia” esercitarono dall’America sulle cruciali elezioni del 1948. Si può pensare che allora, però, il mondo era diviso in blocchi e ciascuno di essi puntasse a sostenere la propria parte anche in Italia, ma che ora le cose sono cambiate, visto che non c’è più la Guerra fredda e nessuno mette in discussione il nostro sistema di alleanze.

C’è invece una serie di problemi – dalla tensione valutaria globale alla stabilità europea, sui quali è comprensibile che si cerchi di influenzare l’atteggiamento italiano. Il punto, forse, non è la legittimità, quanto l’efficacia di queste pressioni esterne. Ci sono casi in cui esse sono risultate vane, forse addirittura controproducenti, come la sponsorizzazione da parte di Angela Merkel della ricandidatura all’Eliseo di Nicolas Sarkozy. Peraltro dal corale sostegno internazionale, almeno stando ai non più citabili sondaggi, Monti non sembrerebbe aver ricavato un granché, mentre l’ostracismo esibito in forme anche insolitamente aspre da quegli stessi ambienti nei confronti di Silvio Berlusconi viene indicato da alcuni come un possibile fattore di recupero di consensi.

E’ difficile ovviamente valutare se e quanto le “interferenze” sulla nostra sovranità avranno peso. Va però valutato  un aspetto. Mentre in passato era chiaro dove fosse la coincidenza degli interessi atlantici ed europei con quelli italiani, e paradossalmente questo rendeva più silenziosi gli appoggi esterni, oggi è lecito domandarsi se questi interessi non siano invece almeno parzialmente contrastanti.

E in tal senso, l’appoggio o il non appoggio internazionale divengono più espliciti, a volte squillanti. Questo, va da sé, non vale però per Napolitano, garante non solo istituzionale dell’unità e dell’indipendenza nazionale, cioè in termini attuali di un’interdipendenza basata sulla pari dignità.

Il diavolo si nasconde nei particolari, ed è ben più importante di un particolare la frase del documento dell’Ordine dei medici francese che, senza mai usare la parola “eutanasia”, invita a prevedere una “sedazione profonda e terminale” per alcuni casi non previsti dalla vigente legge Leonetti sul fine vita. La quale, scrivono i medici, “può non offrire soluzione per certe agonie prolungate o per dei dolori psicologici e/o fisici che, malgrado i mezzi messi in opera, restano incontrollabili”. Dopo aver ribadito, nel preambolo del documento, “i principi etici da sempre patrimonio della medicina fin dall’origine: non dare deliberatamente la morte e vietarsi ogni accanimento irragionevole”, ecco che l’Ordine dei medici francese chiede di introdurre la possibilità di somministrare una sedazione profonda (la quale comporta necessariamente l’accelerazione della morte del paziente) non solo nei casi fino a oggi previsti, vale a dire per i malati terminali arrivati all’agonia – una pratica del tutto legittima, che nulla c’entra con l’eutanasia – ma anche in presenza di “dolori psicologici e/o fisici” che “restano incontrollabili”. E allora, in presenza di “richieste persistenti, lucide e reiterate della persona” sulla quale le cure palliative (anche per dolori “psicologici”, va sottolineato) non abbiano effetto, e previa la decisione collegiale dei medici curanti, dovrebbe essere prevista “una sedazione profonda e terminale”. In che cosa questa debba distinguersi dall’eutanasia non è affatto chiaro. E’ invece chiarissima la determinazione del presidente Hollande, che non potendo mettere in campo nessun decisionismo sulle questioni economiche e sociali si dedica a quelle etiche, di arrivare entro l’autunno a una legge sull’eutanasia. Di arrivarci nonostante il rapporto della commissione da lui stesso istituita – e affidata al presidente onorario del Comitato di bioetica, Didier Sicard – abbia chiarito che non è necessaria, in Francia, una nuova legge, ma solo una maggiore applicazione e una conoscenza più diffusa delle norme e delle buone pratiche già a disposizione.

Come è avvenuto per il matrimonio gay, promessa elettorale numero 41 da mantenere a ogni costo, compreso quello di spaccare in due il paese, la promessa elettorale di “un’assistenza medicalizzata per concludere dignitosamente la vita” (leggi: eutanasia) sarà legge. E il documento dei medici francesi aiuta. Quotidiano

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