Cosa succede all’ombra della saggezza di Napolitano

dei baffi dalemiani e dei video del Cav. Silvio Berlusconi si veste da statista e,

archiviata con la campagna elettorale anche la restituzione dell’Imu, tende l’unica mano che il Pd può afferrare: “Non si deve partire dalle alleanze, ma dalle cose da fare”. E’ il primo mattone di una complicata architettura disegnata nei dedali sotterranei che, attraverso i cunicoli del Quirinale, collegano il Pdl al Pd. E infatti, a chi frequenta casa D’Alema, il Cavaliere ieri è sembrato il vecchio Massimo, cioè la volpe baffuta che in questi giorni si rivolge alla “saggezza del presidente della Repubblica”, che fa sapere in privato di preferire Berlusconi a Grillo ma che pure – in pubblico e nelle interviste (oggi al Corriere) – lo nega e aderisce alla cosiddetta, evanescente, “linea Bersani” (a proposito: dice Fabrizio Rondolino, vecchio consigliere dalemiano: “Pagherei per vedere la faccia di Massimo mentre Bersani gli parla di Grillo e del modello siciliano…”). La verità è che la grande coalizione avanza, ma all’ombra del Quirinale e attraverso il folto dei baffi di D’Alema.

La posizione del Pd, la cosiddetta “linea Bersani”, per quanto improbabile possa sembrare, suona all’incirca così: andiamo in Parlamento con un governo di centrosinistra senza accordi preventivi e chiediamo la fiducia. Grillo ha già risposto con una pernacchia e una manganellata in testa al segretario (“è un morto che parla, uno stalker politico”), mentre il Cavaliere ieri ha usato, con tono pacato e quasi convincente (se non lo si conoscesse fin troppo bene), un’espressione non ovvia: “Si deve partire dalle cose da fare, non dalle alleanze”. Secondo alcuni esegeti di Palazzo Grazioli significa: legislatura di scopo, un governo per le riforme che non sembri un pasticcio di Palazzo capace di ingrassare la retorica (e il consenso) anticasta di Grillo, una cosa che possa durare. D’altra parte il terrore di Pdl e Pd, mentre si scambiano effusioni al buio, è proprio quello di essere visti. E questo Grillo lo ha capito, tanto da spingere in ogni modo e furbescamente gli amanti a scambiarsi bacetti anzitempo e al centro della scena. “Come fai sbagli. Siamo in un rompicapo”, confessa Nicola Latorre, il senatore pugliese del Pd, l’amico di D’Alema e di Nichi Vendola. “Per noi si tratta ormai di pagare il prezzo minore. Cos’è meno peggio? Un accordo con Berlusconi è una specie di suicidio che potrebbe consegnare l’Italia a Grillo, ma anche l’accordo tra noi e Grillo…”. E insomma pure Latorre, come D’Alema, alla fine si rimette alla saggezza di Napolitano, “e alle decisioni del mio partito”, che sembra essere un nuovo modo per tifare grande coalizione (ma senza dirlo). Siccome niente succede per caso, c’è un altro pugliese, Raffaele Fitto, l’ex ministro del Pdl, che agli amici sussurra una verita condivisa da tutti: “Le carte le dà il Quirinale”. Insomma tutti dicono che il presidente della Repubblica è il vero interlocutore dei partiti, il garante di un’operazione politica (non più tecnocratica) che nelle inclinazioni del vecchio migliorista non può che assomigliare al meccanismo della “strana maggioranza” che ha retto il governo di Monti. Come dice Daniela Santanchè, pasionaria del berlusconismo: “Il nostro interlocutore potrebbe non essere Bersani”, ma Napolitano. Insomma nel Pdl interpretano con chiarezza i segnali in codice e le parole sottintese di D’Alema e degli altri dirigenti del Pd che si appellano “alla saggezza” del presidente della Repubblica. E in cosa potrà mai consistere questa “saggezza”?

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo 28/2

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