Dissolto il progetto centrista dell’élite bancocentrica PD-Monti

I grandi vecchi della finanza bianca, Bazoli e Guzzetti, volevano unire Monti e Pd.

Dopo il voto, lo choc. In quei salotti dell’alta società lombarda dove si è discusso per mesi su quale potesse essere l’assetto politico più congeniale al paese, qualcosa si è rotto. Come molti altri osservatori, banchieri e manager non avevano capito che il consenso popolare verso il movimento di Beppe Grillo stava aumentando. Oggi restano dunque lo choc per l’ascesa dell’ex comico e un affascinato stupore per la performance inattesa di Silvio Berlusconi. Ma il risultato concreto è una sconfitta su tutta la linea, perché il mondo della finanza e dell’economia aveva puntato su una possibile alleanza tra Partito democratico, che ha avuto un consenso inferiore alle aspettative, e Lista civica di Mario Monti, che ha ottenuto un risultato considerato deludente, il 10 per cento. Il banchiere dominus di Intesa Sanpaolo, Giovanni Bazoli, ne aveva fatto una specie di “strategia famigliare”, dal momento che il nipote Alfredo si è candidato con il Pd (corrente renziana), la figlia Chiara sosteneva la candidatura di Umberto Ambrosoli in Lombardia, in opposizione alla Lega, mentre il genero, Gregorio Gitti, si è presentato con Monti conquistando poi un seggio alla Camera.

Dopo le elezioni, Gitti è stato uno dei pochi a tenere acceso il lumicino di un’intesa strategica tra Monti e il Pd con un’intervista al Corriere della Sera (che vede Intesa Sanpaolo tra i suoi azionisti più influenti), salvo poi indicare come “unica soluzione”, in mancanza d’altro, il ritorno di un governo tecnico a guida Monti. “Più che una provocazione il mio vuol essere un ragionamento politico. Il tema è: se non ci sono accordi politici di Grillo o di altri governi, la soluzione tecnica può essere solo quella di affidare un nuovo mandato a Mario Monti”, ha detto al Corriere (che non ha esplicitato il legame di parentela con Bazoli, cosa che a Gitti non piace ricordare).

Il lavoro nelle retrovie del bresciano Bazoli e dell’altro grande vecchio, Giuseppe Guzzetti, capo della Fondazione Cariplo, azionista di peso di Intesa Sanpaolo, serviva a trovare un equilibrio fondato sulla più larga alleanza possibile. Un modo, tra l’altro, per non lasciare troppo spazio al partito favorito alla vigilia del voto, il Pd di Pier Luigi Bersani. Una sorta di “pax politica” conciliatrice a garanzia di un assetto stabile sarebbe stata la soluzione più gradita ai due banchieri esponenti della finanza bianca, vicina al mondo cattolico. Sono rimasti “più che sbigottiti”, dice al Foglio Giancarlo Galli, biografo di Bazoli, che ha vivisezionato il potere della finanza cattolica nel libro “La giungla degli Gnomi” (Garzanti). “Anche loro, come altri rappresentanti dell’establishment, continuano a essere autoreferenziali. Non avevano capito nulla del movimento di protesta che stava crescendo”, dice Galli facendo inoltre notare il sussulto che possono avere provocato nei banchieri ultraottantenni – e saldi al comando – le dimissioni di Papa Benedetto XVI, arrivate prima del voto, e il referendum popolare di domenica scorsa che ha posto alcuni paletti al modo in cui vengono stabiliti gli stipendi dei manager nella vicina e quieta Svizzera.

L’umore all’ombra della Scala di Milano, comunque, non è dei migliori. La delusione è evidente. “La tragedia delle elezioni nazionali – dice al Foglio un finanziere meneghino – non ha spaventato troppo ma ha messo in secondo piano la sconfitta di Ambrosoli alla regione Lombardia. La regione è passata alla Lega di Roberto Maroni, un’altra tragedia”. L’alta società milanese si era infatti spesa, con cene e incontri vari, per accrescere – anche fuori dal capoluogo – la popolarità del candidato “navigliocentrico” del centrosinistra Ambrosoli, sostenuto dal sindaco, Giuliano Pisapia, e lanciato da Bazoli. Questo aveva diviso l’élite lombarda perché in corsa per il Pirellone c’era anche il candidato montiano Gabriele Albertini. Si era creata una polemica sul “voto disgiunto”, motivata dalle dichiarazioni della candidata montiana Ilaria Borletti Buitoni a sostegno di Ambrosoli. Il progetto bazoliano, insomma, si era già incrinato a Milano prima che a Roma. Ma in ogni caso, non è detto che una Lombardia leghista sia sgradita anche a Guzzetti, fanno notare al Foglio alcuni osservatori, visto che il banchiere saronnese ha tenuto buoni rapporti con il partito fondato da Umberto Bossi: la vicinanza al territorio e la distribuzione delle risorse economiche su scala locale sono caratteristiche che accomunano la Lega e la Fondazione Cariplo che Guzzetti guida dal 1997.

Il collasso centrista e lo sbocco Renzi

Il dato politico del collasso centrista però rimane. L’ha messo a fuoco Pierluigi Battista in un editoriale sul Corriere del 6 marzo: “Manca la voce di quel centro che fino a pochi giorni fa sembrava il pilastro essenziale della governabilità futura. Il Fli di Fini è stato annichilito, l’Udc di Casini è ridotto al minimo, la Scelta civica di Monti vive un risultato deludente, asfittico” ma “se continuerà la linea depressiva del silenzio e dello sbigottimento post traumatico – scriveva Battista – si regaleranno argomenti a chi considerava la coalizione centrista un mero espediente elettorale”.

Quello che potrebbe ravvivare il disegno centrista è l’arrivo di Matteo Renzi, sfidante di Bersani alle primarie del Pd in autunno. Dietro all’incontro privato avuto con Monti due giorni fa, i più maliziosi intravedono un incarico nell’esecutivo o la consegna delle chiavi del movimento Scelta civica in vista di prossime elezioni. Il portavoce del trentasettenne sindaco di Firenze ha smentito tale eventualità dicendo che Renzi si ripresenterà alle comunali nel 2014. Eppure, intanto, prende piede la possibilità di nuove primarie interne al centrosinistra per la leadership (con Renzi ancora in campo). Non è chiaro se il giovane politico toscano sia l’uomo che fa al caso dei banchieri lombardi. Qualcuno dice che abbiano paura del nuovo. Ma secondo altri, come l’economista Gian Maria Gros-Pietro, non è questo l’importante: “Non è il nuovo che spaventa, ma piuttosto la capacità e la possibilità di mettere in atto i cambiamenti che sono necessari al paese, come ad esempio  accrescere la competitività del lavoro”, dice  Gros-Pietro senza riferirsi a Renzi o a Grillo ma solo constatando l’impasse istituzionale in essere. Stando ai rumors, Gros-Pietro è uno dei candidati alla successione di Andrea Beltratti alla guida del consiglio di gestione di Intesa. Per adesso, dice al Foglio, i “giornali si esercitano”, come in realtà fanno spesso evocando il suo nome nelle partite importanti, perché a decidere sarà il consiglio di sorveglianza una volta nominato, entro aprile. Ma è già sicuro, invece, che a presiedere l’organo di sorveglianza per altri tre anni consecutivi sarà Bazoli, con l’ovvio sostegno di Guzzetti. di Alberto Brambilla   –   @Al_Brambilla, 9/4

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