Il giustizialismo delle classi dirigenti

Il baco culturale che produce le accuse di “cedimento” a Napolitano

L’assalto giustizialista, che punta a incarcerare Silvio Berlusconi senza tante storie, senza condanne passate in giudicato, ora sposta la sua aggressività in direzione del Quirinale, accusato di “cedimento” semplicemente per il fatto di non aver accettato di seguire supinamente l’onda del conformismo manettaro. Nell’ultima occasione di uno scontro tra Giorgio Napolitano e i giustizialisti, quella che riguardava le intercettazioni del presidente che il tribunale di Palermo rifiutava di distruggere (e che non ha ancora distrutto, con cavilli vari, nonostante la chiarissima sentenza della Consulta), c’erano stati ripensamenti e contraddizioni. Eugenio Scalfari aveva preso le parti di Napolitano su Repubblica e sul giornale della Confindustria prevaleva la lealtà istituzionale verso il capo dello stato. Ora, invece, su Repubblica si legge che Napolitano sarebbe poco meno che succube del “ricatto” berlusconiano e Massimo Giannini arriva a chiamare “movente” la motivazione che ha spinto il presidente a esprimere “comprensione” per la preoccupazione del Popolo della libertà per una manomissione dei diritti politici. Persino sul Sole 24 Ore l’analisi della situazione al palazzo di giustizia milanese, condotta da Donatella Stasio, è assolutamente unilaterale e arriva a criticare il ritardo con cui Pier Luigi Bersani si sarebbe accodato al coro antiberlusconiano.

Questo cambiamento dell’opinione dall’alto (che contrasta con la bocciatura sonora inflitta alla lista giustizialista dell’opinione dal basso espressa dall’elettorato) probabilmente è una conseguenza non secondaria dell’ubriacatura del ceto intellettuale per Beppe Grillo, dopo che il suo movimento ha ottenuto un ampio consenso popolare. Nessuno riflette sul fatto che la vittoria di uno sfasciacarrozze è l’esito di un ventennio di delegittimazione giustizialista di una parte decisiva della rappresentanza politica, che ha impedito un confronto sui fatti e sulle scelte. A forza di pescare nel torbido, di guardare dal buco della serratura, di promuovere campagne di delegittimazione scandalistiche e moralistiche a ripetizione, si è fatto franare il terreno fisiologico della dialettica democratica. Con l’intento di coprire una parte politica di fango, per batterla sul terreno giudiziario invece che su quello elettorale, si è data una visione completamente degradata del sistema che intanto si impediva di riformare. Grillo ha fatto il suo mestiere, ha approfittato di una situazione di stallo permanente per denunciare l’incapacità dei partiti a dare risposte convincenti. Ora i corifei del giustizialismo, felici e contenti, vogliono Grillo al governo, Berlusconi in galera, e Napolitano fuori dalle scatole, e non è detto che non ci riescano se non ci sarà una reazione di responsabilità. Il Foglio, 14/3

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