EURO DIVISO TRA “VIRTUOSI” e “NON”

Perché a Berlino non è più tabù l’euro diviso tra “virtuosi” e “non”

Sia i socialdemocratici sia il Bundestag studiano un’Eurozona con dentro la Francia (ma non per forza l’Italia)

“Cipro non metta troppo alla prova la pazienza dei paesi dell’Eurozona”. Questa la frase che ieri mattina avrebbe pronunciato la cancelliera tedesca, Angela Merkel, durante una riunione a porte chiuse del gruppo parlamentare del suo partito (Cdu-Csu). Come dire che i mercati puniranno alla loro maniera l’eventuale mancato salvataggio della piccola isola eurodotata, ma anche la leadership tedesca non avrà un atteggiamento passivo, essendo pronta perfino a spingere Nicosia fuori dalla moneta unica. D’altronde, come si evince da recenti dibattiti interni all’establishment tedesco, l’idea di un’Eurozona divisa in due – con un nucleo forte di paesi “virtuosi” che si emancipa dagli altri, magari anche dall’Italia – gode oramai di piena cittadinanza. Perfino a sinistra.

Secondo uno studio appena pubblicato dalla Friedrich Ebert Stiftung, la fondazione affiliata all’Spd, gli “scenari futuri per l’Eurozona” sono quattro: agli estremi ci sono il “completamento dell’Unione monetaria con un’unione fiscale e politica” e il “break-up dell’euro”; in mezzo l’idea che  l’Eurozona se la possa cavare improvvisando di giorno in giorno oppure un’inevitabile divisione in due dell’Eurozona. Quest’ultimo, secondo i socialdemocratici, è lo scenario “più probabile” da qui al 2020 (anche se “il più desiderabile” resta quello dell’unione politica e fiscale). Come funzionerebbe? Con “l’evoluzione verso un’integrazione a due livelli, con la casa dell’euro che si fa più piccola e stabile, ma anche più escludente”. Il gruppo “core”, in questo caso, sarebbe quello che riuscirà a rispettare criteri di rigore fiscale e competitività sempre più stringenti. La Francia tra 7 anni sarà nel club dei “virtuosi”, secondo lo scenario, mentre l’Italia non è citata. “Sono un po’ sorpreso che la Fondazione dell’Spd lo dica esplicitamente, non sono affatto sorpreso che ci ragioni su”, dice al Foglio il britannico David Marsh, giornalista e storico del processo di integrazione europea, conoscitore del dibattito teutonico (che anima con suoi interventi sul quotidiano finanziario Handelsblatt).

David Marsh, che scrive anche per il Wall Street Journal, è personalmente convinto che “l’Europa continuerà con la strategia del ‘tirare avanti barcamenandosi’. Il continente è in una situazione così disgraziata da non riuscire nemmeno a dare vita a una crisi decente”. Però osserva che in Germania, sulla scorta dell’instabilità cipriota e italiana, l’idea di separare le sorti dei paesi con la moneta unica “si sta rafforzando”. “L’effetto più importante della crisi cipriota lo vedremo sulla Germania. In Europa i tedeschi sono quelli con i maggiori risparmi, perciò percepiscono di più il pericolo. Temono che, se ci fosse un problema serio e strutturale nella moneta unica, i politici andrebbero a mettere le mani nelle loro tasche. L’ipotesi di un prelievo forzoso sui depositi che è stata ventilata per Cipro è come un genio uscito dalla lampada: sarà difficile farlo rientrare”. Quasi un tedesco su due (48 per cento), infatti, è preoccupato per i suoi risparmi. Non che le élite sembrino necessariamente più fiduciose delle masse.

 Oltre allo studio dell’Spd, infatti, in queste ore è stato pubblicato un report della Stiftung Wissenschaft und Politik, pensatoio bipartisan del Parlamento tedesco, così intitolato: “Rafforzare il ‘cuore’ dell’Eurozona o dividere l’Europa?”. Al centro dell’analisi c’è la presa di coscienza del fatto che “l’integrazione differenziata” – con alcuni paesi che vanno avanti e spesso lasciano gli altri indietro – è ormai un dato di fatto. E nel futuro continuerà a essere così. Il voto italiano, secondo Marsh, ha esacerbato lo stato d’allarme in Germania: “Le elezioni sono state uno choc per i mercati. Questi hanno scoperto che a loro piaceva Mario Monti ma agli italiani non piacciono le politiche di Monti. Certo, l’economia italiana, come ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi, va avanti con il pilota automatico, non potrà abbandonare presto l’austerità. Ma il voto ha un importante significato politico”.

Per lo storico ed euroscettico inglese, per esempio, “la rinnovata incertezza in Italia porterà Draghi a sposare una linea più conservatrice di politica monetaria. Risultato curioso: il voto anti austerity rafforzerà le posizioni della Bundesbank”. Un effetto simile vale anche per l’opposizione socialdemocratica a Merkel, in vista delle elezioni di settembre: “In Germania non si conquistano voti mostrandosi ‘morbidi’ coi paesi del sud. Senza contare che Cdu e Fdp, all’opposizione, sarebbero molto più critici verso le politiche europee del futuro governo”. La Francia, per “ragioni storiche” e interessi contingenti della Germania, è immune da questa robusta dose di scetticismo teutonico, ma in futuro anche per Parigi varrà la regola per cui “ai tedeschi non piace fare affari con le persone per cui provano pena, con i perdenti. Se Parigi non supererà gli esami in futuro, non resterà nelle grazie di Berlino”, conclude Marsh. Come a dire che per l’Italia i giochi sono già quasi fatti.

di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp

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