Il pressing sviluppista di Washington sull’Europa ultrarigorista

Nel consueto appuntamento di primavera la prossima settimana si

riuniranno a Washington i membri della commissione ministeriale del Fondo monetario internazionale (Fmi), per l’Italia il ministro dell’Economia Vittorio Grilli. Il vertice sarà immediatamente preceduto da quello del G20, a livello di ministri delle Finanze e governatori delle Banche centrali. Anche se l’agenda degli incontri è stata attentamente pianificata per contenere potenziali elementi di frizione, la sostanza delle discussioni ministeriali si concentrerà su due punti abbastanza controversi, sia al Fmi sia nel G20.

Innanzitutto, la crisi europea. L’Amministrazione Obama non ha gradito l’incertezza e l’azzardo con cui gli europei hanno gestito la crisi, questa volta cipriota, creando potenziali, ulteriori focolai di contagio nei sistemi bancari di altre economie dell’Eurozona. Non a caso lo Studio ovale a metà marzo ha fatto immediatamente intervenire il neo segretario al Tesoro, Jack Lew, con una dichiarazione in cui si stigmatizzava, tra le righe, l’haircut sui depositi di Nicosia inferiori ai 100.000 euro inizialmente previsto nel programma di assistenza cipriota della Troika.

Come se non bastasse, proprio ieri, a conferma dell’innalzato livello di attenzione con cui si segue l’evolversi delle vicende europee da Pennsylvania Avenue, il presidente Obama ha inviato Lew per incontri ai massimi livelli a Francoforte, Bruxelles e Berlino, che si concluderanno in queste ore. Negli incontri, il segretario si sta facendo portatore della preoccupazione della Casa Bianca per i ritardi e le incertezze nella formulazione di un approccio convincente alla crisi e per la crescente spirale depressiva in cui molte economie dell’Eurozona sono precipitate, a cominciare dall’Italia. Il timore è che, al di là delle apparenti e goffe incertezze, in realtà un approccio ben definito nella strategia anticrisi dell’Eurozona sia emerso: si basa sempre e comunque sul principio di collocare il peso e il rischio dell’aggiustamento a livello nazionale della singola economia che entra in crisi. Se questo approccio rassicura i paesi creditori europei sul piano dell’“azzardo morale” e della sanzione etico-morale, trascura per intero l’enorme potenziale di contagio che l’area monetaria ha già dimostrato di poter trasmettere alle economie sistemiche di Italia e Spagna, aggravando i rispettivi fattori di vulnerabilità: un’economia anemica e un sistema politico intrinsecamente instabile nel caso della prima, un sistema finanziario fragile e una dimensione politica regionale potenzialmente esplosiva nel caso della seconda. Di qui il fondato timore che la crisi possa trasmettersi, per il tramite delle più vulnerabili tra le economie sistemiche, al di fuori dei confini dell’Eurozona, destabilizzando il sistema finanziario globale, il cui epicentro si trova negli Stati Uniti. Per diluire la tensione, a poco servirà concentrarsi sulla riforma del Fmi, punto su cui, in genere, si ripiega quando non vi è accordo sulle grandi questioni strategiche dell’economia mondiale. In questo caso, si invertiranno le parti, perché sarà l’Amministrazione Obama che cercherà di deflettere l’attenzione, considerato che è stato il Congresso americano a rinviare la riforma della governance favorevole ai paesi emergenti.

Piuttosto un altro tema potrà richiamare la luce dei riflettori su questi incontri ministeriali in modo inatteso. La direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde, sembra ormai affidare al suo capo economista, Olivier Blanchard, la consegna di messaggi ad alto contenuto politico, schermati da analisi tecniche. Lo scorso ottobre, il capo economista aveva criticato il consolidamento fiscale europeo e il suo impatto eccessivamente depressivo sulla crescita dell’Eurozona. Questa volta, il messaggio di cui Blanchard potrebbe essere latore è che la tanto celebrata svalutazione fiscale nell’Eurozona, cioè una gestione della politica fiscale tale da simulare gli effetti di un tasso di cambio nazionale che non esiste più, non sta dando frutti e andrebbe ripensata o rinviata. Associato agli incoraggiamenti della Lagarde per una politica monetaria espansiva in stile giapponese, il pressing sviluppista di Washington pare destinato a farsi sentire.

di Domenico Lombardi

Solo gli utenti registrati possono commentare gli articoli

Per accedere all'area riservata