In Siria i ribelli le stanno prendendo

dagli uomini del “piano Suleimani”. Persa una città strategica

per la battaglia di Damasco. I missili Fateh colpiti da Israele erano arrivati da una settimana

Una città in posizione strategica nel sud della Siria è stata riconquistata dalle truppe del presidente Bashar el Assad, hanno ammesso i combattenti dell’opposizione ieri nelle prime ore del mattino con l’agenzia Reuters. Khirbet Ghazaleh è sull’altopiano dell’Hauran, nel breve tratto che separa il confine con la Giordania dalla capitale Damasco, ed è importante perché da lì passa la rotta dei rifornimenti – munizioni, armi, uomini – che alimenta la battaglia attorno alla capitale Damasco. Ora che questa linea è tagliata, non è chiaro quanto resisteranno i gruppi che combattono contro l’esercito sul fronte che coincide con la tangenziale della capitale.

Circa mille ribelli si sono ritirati ieri perché hanno finito le munizioni e hanno perso la speranza che i rinforzi sarebbero riusciti ad arrivare dalla Giordania, dove c’è il loro comando militare, appoggiato  ma non troppo dal governo di Amman. “Potrei provare a rientrare dentro Khirbet Ghazaleh con mille uomini – dice il capo della brigata ribelle locale – ma siamo a mani vuote”. Due settimane fa era caduta un’altra città sulla rotta Giordania-Damasco, Oteibah, anch’essa strategica per la logistica. L’esercito del governo sta riguadagnando terreno, dopo che per due anni aveva perso inesorabilmente territorio senza mai recuperarlo e dopo essere stato costretto a trincerarsi nelle grandi città. Anche se al nord i ribelli continuano ad avanzare (sono entrati dentro il perimetro dell’aeroporto di Mennigh, fuori da Aleppo, dove stanno combattendo da mesi per cacciare i soldati del governo) c’è un grande riflusso militare. Lo slogan che i pacifisti non urlano in piazza, “Stop Assad, now!”, in realtà potrebbe essere “Stop Suleimani, now!”, dal nome di Qassem Suleimani, il generale iraniano dei gruppi speciali che ha preso in mano la situazione e sta guidando la rimonta del governo Assad con forze fresche.

Dove c’era il guscio vuoto del governo Assad, colpito da attentati e defezioni, e incapace di battersi con reale efficacia contro una guerriglia pur disorganizzata, ora si è installato un comando di strateghi iraniani, determinati a non cedere la Siria. I ribelli sono sunniti, quindi sono nemici ideologici di Teheran e alleati naturali di Arabia Saudita, Qatar e Turchia.

Il generale Suleimani è stato a Damasco a fine febbraio. Ora il suo piano è in pieno svolgimento attorno a Homs e Qusair, nel centro del paese, dove la milizia libanese Hezbollah sta combattendo per preservare la continuità territoriale del governo da Damasco fino alla fascia costiera del nord, abitata dagli alawiti (è la stessa fede dell’establishment assadista). “Vediamo spuntare in Siria unità di duemila, duemilacinquecento hezbollah”, dice un ufficiale del Pentagono al Wall Street Journal. Un’altra milizia di segno completamento diverso – sono i comunisti di Muqawama Suriya, Resistenza siriana, turchi alawiti – s’è occupata dei massacri deliberati nella città di Baniyas e vicino, per spaventare i sunniti e costringerli alla fuga. Il capo della milizia è un turco paffuto e con i capelli bianchi, Mihraç Ural, che nei giorni scorsi, tra un poster di Che Guevara e una stretta di mano con i religiosi alawiti in tunica e turbante, ha parlato in un video della necessità di “ripulire” la costa dai sunniti. Secondo Hassan Hassan, articolista siriano del giornale The National, Assad ha scatenato la milizia di volontari turchi contro i civili perché ha una strategia della tensione: i sunniti risponderanno ai massacri con altri massacri, gli alawiti sentiranno che è in gioco la loro stessa sopravvivenza e non ci saranno compromessi o accordi con il nemico, si batterano fino all’ultimo.

Il piano Suleimani non è fatto soltanto di milizie, ma anche di armi. Secondo informazioni arrivate ieri da ex agenti dei servizi israeliani, i missili Fateh-110 distrutti nei raid aerei israeliani di domenica erano arrivati da meno di una settimana: il che dimostra che Israele monitora la situazione da molto vicino. I ribelli sono in grado di affrontare questo nuovo nemico, l’ibrido Assad-Teheran a trazione iraniana? Se stanno cedendo le conquiste fatte è anche perché dopo due anni non hanno più soldi a disposizione. In un’intervista con il Financial Times, il capo militare dell’opposizione, il generale Selim Idriss, dice di ricevere soltanto un decimo di quello di cui avrebbe bisogno, e sostiene che le battaglie cominciano a essere prese per mancanza di munizioni. Pur avendo promesso cento milioni di dollari di aiuti umanitari ieri, l’’Amminstrazione Obama è ancora indecisa se intervenire o meno in loro aiuto con un piano di azione militare, ma potrebbe arrivare tardi.

© - FOGLIO QUOTIDIANO. di Daniele Raineri   –   @DanieleRaineri, 9/5

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