Il regime di Damasco è forte. La Russia è pronta,

con missili e navi, a tenere insieme la Siria in pezzi

Le armi che Mosca dà ad Assad possono neutralizzare ogni embargo navale o no fly zone. Obama conta sui negoziati

Le navi da guerra russe sono infine arrivate nel Mediterraneo, nel porto di Tartous, in Siria, l’unica base militare fuori dal blocco dell’ex Unione sovietica, mentre la diplomazia internazionale si illudeva di aver allentato l’abbraccio di Mosca a Damasco. Qualche giorno fa il premier britannico, David Cameron, è andato a Washington dal presidente americano, Barack Obama, fiero di comunicargli che Vladimir Putin sta cambiando idea su Assad. Sarà, ma intanto la Russia sta mettendo a punto il più grande schieramento militare in mare dai tempi della Guerra fredda, anzi alcuni a Mosca sostengono di voler resuscitare proprio quelle missioni sovietiche per controbilanciare la Sesta flotta della marina americana. Secondo i report dell’intelligence di Washington, Putin sta anche accelerando il trasferimento di un sistema di difesa antiaereo sofisticato, e sarebbero arrivati altri missili Yakhont, nuova versione. Assad ne possiede già, ma questi sono dotati di un radar che li rende molto più efficaci: i missili antinavi garantiscono così all’esercito del regime un’arma “formidabile”, scrive il New York Times, contro l’eventuale embargo navale che le forze internazionali potrebbero stabilire per aiutare l’opposizione ad Assad, contro una no fly zone e contro eventuali strike (i missili potrebbero finire anche a Hezbollah: un ufficiale di Israele ha già fatto sapere che Gerusalemme è pronta a un altro giro di strike, se necessario).

La Russia “alza la posta in Siria”, scriveva ieri il Wall Street Journal, spiegando che Putin si sta preparando per evitare un’eventuale azione militare in stile libico e intanto avanza nel Mediterraneo: qualsiasi cosa accada in Siria, è difficile pensare che quelle navi russe se ne andranno nel breve tempo. Soprattutto perché Mosca sta vincendo il confronto diplomatico con l’America: difende gli stessi interessi di Iran e Hezbollah, principali alleati di Assad, e intanto costringe il resto del mondo a organizzare un vertice internazionale per gestire la transizione a Damasco. Obama due giorni fa, con il premier turco Recep Tayyip Erdogan di fianco, ha detto che “i negoziati a Ginevra che coinvolgono i russi possono produrre risultati”, avallando la strategia di Mosca: prendere tempo, dettare le regole e rafforzare militarmente la resistenza anti occidentale.

Il piano russo è sempre più delineato, laddove continuano, sul versante americano, le manfrine sulla “red line”: Erdogan ha portato le prove degli attacchi chimici in Siria a Obama, lui dice che le ha viste ma che ci vuole cautela, è necessario capire meglio, investigare ancora. E mentre l’Economist sostiene che, se non c’è già, presto ci sarà un’altra linea rossa, rappresentata dal possesso delle armi chimiche da parte di al Qaida, c’è da sottolineare che Obama ha detto, finalmente, qualcosa di sinistra: “A parte le armi chimiche, migliaia di persone ammazzate in Siria sono sufficienti per una forte azione internazionale”. Il numero dei morti ammazzati è sempre meno verificabile, si aggira tra le 80 e le 100 mila vittime, e fanno scalpore i video

(terribili) dei capi dei ribelli jihadisti che mangiano i cuori delle loro prede. Ma il regime di Assad sistematicamente da anni massacra e reprime il suo popolo: un nuovo report di Human Right Watch racconta le cosiddette “camere della tortura” ritrovate nel municipio di Raqa, nel nord della Siria, oggi sotto il controllo dei ribelli (c’è il video di queste camere, con tutti gli strumenti, la riedizione di quello speciale sull’Arcipelago della tortura che HRW aveva fatto l’estate scorsa).

La tripartizione

Obama dice che ogni azione è possibile ed esclude che ci sia qualche azione unilaterale da parte sua, ma il New York Times sottolinea un altro problema, conseguenza dell’inazione di questi anni: stanno emergendo tre Sirie: una fedele al governo, all’Iran e a Hezbollah; una dominata dai curdi con contatti con i separatisti curdi in Turchia e Iraq; una controllata dalla maggioranza sunnita, pesantemente influenzata da islamisti e jihadisti”. Andrew Tabler, senior fellow al Washington Institute for Near East Policy, dice che le parti sono cambiate talmente tanto che è difficile immaginarle di nuovo assieme. La Siria è così “shattered”, in frantumi, che non c’è alcuna singola autorità in grado di rimetterla insieme. A parte i russi con il loro alleato Assad, l’Iran, Hezbollah e naturalmente la repressione.

di Paola Peduzzi, 18/5

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