Governare con i “saggi”.

Così Napolitano ha creato la sua Camera

Trentacinque prof. d’obbedienza quirinalizia per fiancheggiare Letta e attiture le intemperanze dei partiti

“Ricordatevi che la vostra non sarà una lotta tra guastatori e difensori della purezza costituzionale. Li ha coccolati con lo sguardo mentre li ha accolti al Quirinale, tutti e trentacinque quanti sono questi suoi professoroni costituzionalisti, il meglio degli atenei d’Italia, i suoi “saggi”, lo strumento ricorrente e permanente della politica presidenziale di Giorgio Napolitano, che è tutela del governo, delle larghe intese, della grande coalizione e persino un calmante per gli spasmi timorosi del Cavaliere inguaiato fra tribunali e Corte costituzionale. E già ci sono lamenti, tormenti e protagonismi, “le riforme in Italia mirano a dare sostanza a quella vena di autoritarismo che ci portiamo dietro da sempre”, ha detto Lorenza Carlassare, giurista, amica di Gustavo Zagrebelsky, membro della nuova commissione che pure critica. A Radio Radicale la professoressa ha consegnato la prima polemica costituente dell’anno. Così al Quirinale, tra gli specchi e l’enorme tappeto nella Sala degli arazzi, mentre i trentacinque professori si salutano, alcuni si conoscono per la prima volta, tra sorrisi e strette di mano, a un certo punto la professoressa viene osservata con la stessa curiosità che si deve alle cose bizzarre, al riformatore che non vuole riformare, al costituente che non vuole scrivere la Costituzione, come l’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, un caso per Oliver Sacks: “Guarda, guarda, c’è l’infiltrata di Zagrebelsky”.

E d’altra parte su trentacinque costituenti c’è di tutto nella Sala degli arazzi di Lille, tra Angelino Alfano, Gaetano Quagliariello ed Enrico Letta, persino un pizzico di Palasharp con Nadia Urbinati. Ma per trentatré trentacinquesimi i costituzionalisti d’Italia sono napolitaniani, trentatré sfumature di Giorgio, selezionate da Quagliariello, dai Letta (sia Gianni sia Enrico) e da Luciano Violante, che della commissione ha fatto parte fin dall’inizio, dalla genesi dell’idea. Alcuni tendenza moderata, come Nicolò Zanon e Giovanni Pitruzzella, altri tendenza centrosinistra, come lo stesso Violante, un tempo giacobino (“il mio piccolo Vysinskij” lo chiamava Cossiga) e poi ancora Stefano Ceccanti, Luciano Vandelli e Francesco Clementi, il più giovane di tutti, l’allievo di Giuliano Amato. “Questa sarà una cucina”, dice lui. “Prepareremo le pietanze utili all’Italia” e alla tenuta del governo del presidente. E’ la seconda commissione speciale di tecnici che Napolitano istituisce, benedice e protegge, la prima si è riunita, ha lavorato e si è sciolta ad aprile, e fu anche quello un modo di perdere tempo per guadagnare tempo. I “saggi” sono stati, per Napolitano e per l’Italia confusa, il ponte logico verso l’esecutivo di unità nazionale in cui buona parte di loro, alla fine, è entrato con rango ministeriale, proprio come oggi, anche questa nuova commissione che si è appena composta, con i suoi nuovi e luccicanti trentacinque professori che si riuniranno assieme a Letta la settimana prossima, è il vero partito della pacificazione, la camera di compensazione delle larghe intese, l’ammortizzatore riformista di ogni sussulto, botta e scossone contro il governo, sia che il pericolo arrivi dal mondo agitato e fantasioso di Silvio Berlusconi, sia che le minacce arrivino da quello un po’ incerto e a tratti moccioso di Matteo Renzi. Ed è per questo che lui, il presidente del Consiglio, Letta, ora dice che “il governo dura cinque anni”; questo leader garbato ed elastico, che per natura sarebbe portato alla cautela del carattere e al tono felpato, sa che in Italia nulla è stabile fuorché il provvisorio, e dunque a capo d’un governo di scopo, protetto da una commissione di saggi “a tempo”, ora si mostra spavaldo e coraggioso, e quasi sorprende non sentirgli più dire che “questo non è il governo che volevamo”, ma al contrario vederlo lanciarsi oltre l’orizzonte modesto dei diciotto mesi necessari alle riforme: “Finiremo la legislatura”. E Napolitano, rivolto al Fatto: “Il governo non è a termine”.

In Italia ai saggi non ci crede mai nessuno, per primi i saggi stessi e i loro colleghi, “sono troppi e non combineranno nulla”, ha detto ieri Giovanni Sartori a Mattia Feltri, e nel 2003 nessuno certo avrebbe scommesso nemmeno un centesimo sui bermuda di Roberto Calderoli, Giulio Tremonti e Francesco D’Onofrio, che s’arrampicarono così variopinti in una baita di Lorenzago per scrivere, in compagnia di vacche e polenta, la nuova Costituzione italiana, tra i giornali che comprensibilmente sghignazzavano e il vecchio Andreotti che esercitava sempre il suo ironico scetticismo: “Già li vedo, tre Giustiniano in Cadore”. Eppure quella riforma fu approvata dal Parlamento, prima di essere bocciata nel referendum. Rudyard Kipling, che capiva anche ciò di cui sapeva poco o nulla, una volta si divertì a riassumere in poche battute i caratteri delle varie nazionalità. Eccone alcune. “Un inglese: un cretino. Due inglesi: una partita di cricket. Tre inglesi: un popolo”. “Un francese: un eroe. Due francesi: due eroi. Tre francesi: un ménage”. “Un tedesco: un lavoratore. Due tedeschi: una birreria. Tre tedeschi: la guerra”. E degli italiani: “Un italiano: un bel tipo. Due italiani: un litigio. Tre italiani: tre commissioni costituenti”. Più o meno.

di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo 7/6

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