Il dossier inedito del guru di Renzi che svela

i piani per incalzare Letta. La sfida a Merkel, il tabù Confindustria.

La nuova terza via del Pd spiegata dal consigliere economico del Rottamatore

Qualche giorno fa il Foglio è entrato in possesso di un documento gustoso, e ancora inedito, che verrà presentato nelle prossime settimane ai vertici del Partito democratico e che costituisce uno degli architravi sui quali si andrà ad articolare in campo economico la proposta politica del leader in pectore del Pd del futuro, ovvero Matteo Renzi. Il documento è datato otto maggio, è composto da settantuno pagine ed è firmato da un deputato del Pd che negli ultimi mesi è diventato a tutti gli effetti il guru economico del Rottamatore. Segnatevi questo nome: Yoram Gutgeld.

Gutgeld ha cinquantatré anni, è nato a Tel Aviv, ha lavorato per ventiquattro anni in McKinsey, ha dato una mano a Renzi durante le primarie e oggi è uno dei consiglieri principe in materia economica del sindaco di Firenze. Gutgeld non è un teorico del liberismo sullo stile di Pietro Ichino, non è un laburista alla Stefano Fassina, è un economista con un profilo terzista rispetto alle due tradizionali scuole di pensiero della gauche, e in questo documento prova a dimostrare perché oggi il Pd ha la possibilità di costruire un nuovo modello di stato sociale: dove creare benessere senza aumentare la spesa, dove imparare a spendere i soldi dello stato senza farli arrivare da nuove tasse e dove sciogliere alcuni tabù della sinistra che hanno ostacolato la crescita del nostro paese (c’entrano i sindacati, c’entra Confindustria).

Gutgeld, dopo essere venuto a conoscenza della nostra piccola scoperta, anche se il testo è ancora sotto embargo ha accettato sportivamente di conversare con noi per spiegarci meglio il senso politico del paper. Il documento, naturalmente, parla molto anche di Europa e la nostra conversazione non può che cominciare da qui: dall’invito rivolto ieri a Enrico Letta da Silvio Berlusconi, dalle colonne di questo giornale, a ingaggiare un feroce braccio di ferro con la signora Merkel. Dice Gutgeld: “A voler rispondere con una battuta, mi verrebbe da dire che è dura prendere lezioni da colui che per debolezza ha dovuto firmare la nostra sottomissione alla peggiore austerity. A voler rispondere invece seriamente mi verrebbe da dire, ehi attenzione alle polpette avvelenate. Certo, ovvio: serve più flessibilità, ci mancherebbe, e sarebbe un sogno se la Banca centrale europea, per esempio, riuscisse a far proprie le prerogative che hanno le Banche centrali in paesi come Stati Uniti, Inghilterra e Giappone. Eppure il punto è che noi non ci potremo mai salvare solo con la famosa flessibilità europea. E soprattutto, qualunque concessione ci verrà data, i detrattori diranno sempre: ragazzi, non basta. Il Pd e il governo, invece, devono mettere al centro dell’agenda le vere soluzioni. E in questo senso illudersi che l’Europa possa magicamente aiutarci a risolvere i nostri problemi a me sembra un errore di valutazione”.

Meno spesa pubblica, nuovo stato sociale Il paper che il Foglio ha avuto la possibilità di leggere contiene cinque punti chiave che Gutgeld divide in quest’ordine: produttività, flessibilità, tasse, mercato del lavoro, stato sociale. L’ex McKinsey sostiene che una sinistra moderna, per provare a rivoltare come un calzino il paese, non deve aver paura di rivendicare la necessità di tornare a combattere l’evasione come ai tempi di Vincenzo Visco (“dovremmo mettere un suo mezzo busto in tutte le piazze d’Italia”) e in questo senso dice anche che il Pd e il governo, per andare a recuperare quei 150 miliardi che ogni anno sfuggono alla lotta all’evasione, oggi dovrebbero fare tre cose evidenti: “Stabilire un massimo di spese in contanti fino a trecento euro, imporre per tutti la fatturazione elettronica, prevedere per ogni cittadino una dichiarazione patrimoniale”. Il vero succo della proposta di Gutgeld però è legato alla teoria – molto stile Peter Mandelson, molto Terza via – che il nostro paese può dar vita a un nuovo modello di stato sociale solo se capisce che oggi i servizi si possono migliorare anche spendendo meno. Produttività e flessibilità. Già, ma in che senso? “Vedete – dice Gutgeld – produttività e flessibilità hanno significati importanti che una sinistra moderna deve imparare a fare propri. Aumentare la produttività è una condizione per la crescita economica, è quasi un sinonimo, e non significa ridurre i salari dei lavoratori, liberalizzando i licenziamenti, ma significa produrre gli stessi prodotti o gli stessi servizi con costi più bassi. Come si fa? Da un lato combattendo l’inflazione, che è una tassa di novanta miliardi che ogni anno pesa sulle famiglie e le imprese italiane, mettendo in circolo le riforme giuste per non far salire i prezzi e riducendo un handicap che un paese come il nostro non può permettersi. Un handicap che, volendo, si può eliminare senza spendere un euro, a costo zero, semplicemente facendo le riforme. Dall’altro lato invece occorre fare un salto qualitativo, e imporre alla sinistra, in un certo senso, un nuovo modello politico e culturale”.

Continua Gutgeld: “La questione è semplice. Occorre riorganizzare subito le grandi macchine di servizio pubblico, e penso soprattutto alla Sanità, curando per esempio i malati cronici in casa e non in ospedale, sostituendo gli assegni Inps con i servizi di assistenza, e provando insomma a far fare alla sinistra un salto culturale di questo tipo: fare più stato sociale con minore spesa pubblica, e far ridere i poveri senza far piangere i ricchi”.

Secondo punto, la flessibilità. “Si parla spesso di flessibilità – dice ancora Gutgeld – ma la flessibilità che serve per far ripartire il motore dell’Italia non viene dall’abolizione dell’articolo diciotto ma da una serie di questioni più semplici. Le regole del mercato del lavoro, per capirci, non creano nuovi posti di lavoro, ma possono invece aiutare a combattere la precarietà. E’ in questo senso che serve più flessibilità: non facendo pagare di più i contratti a termine, che è una stupidaggine, ma incentivando nuove forme di contratti stabili, soprattutto per quanto riguarda le nuove assunzioni. Come? Per esempio attraverso la creazione di un contratto unico per tutti i lavoratori. La formula è: un periodo di pre assunzione di tre anni e poi dopo tre anni l’azienda decide che fare”.

Sempre a proposito di mercato del lavoro, dal documento, emergono anche alcune critiche significative fatte dal guru di Renzi a una certa “sudditanza della politica” nei confronti dell’universo della Confindustria. La teoria del consigliere del Rottamatore è questa: i politici che hanno governato il paese negli ultimi vent’anni non hanno avuto la forza di imporre una propria agenda agli industriali e anzi si sono fatti spesso dettare da loro l’agenda senza avere il coraggio di scegliere le giuste vie da seguire per favorire la crescita. Risultato? Un mezzo disastro.

“La Confindustria – dice Gutgeld – rappresenta gli interessi dell’industria manifatturiera italiana, uno dei cuori sani e pulsanti della nostra economia, e giustamente lamenta l’alto costo del lavoro. L’argomento è legittimo ma la politica deve capire che il problema vero è un altro, e che la riduzione dell’Irap, ovvero della tassazione sul lavoro, per quanto auspicabile, non è la priorità assoluta. Soprattutto se andiamo a considerare un fatto che spesso passa in secondo piano: che gli industriali che oggi chiedono meno tasse sul lavoro sono gli stessi che continuano a non capitalizzare come dovrebbero le loro aziende e che non sono riusciti neppure a produrre risultati apprezzabili in termini di creazione di posti di lavoro dagli oltre 10 miliardi di riduzione della tassazione alle imprese praticate prima dal governo Prodi e poi dal governo Monti. Per questo io dico che la priorità oggi si chiama riduzione dell’Irpef sulle fasce di reddito medio-basse. Significa dare più soldi in busta paga ai lavoratori. Semplice no?”.

Gutgeld, infine, nel documento intitolato “Priorità e possibili indirizzi per generare in 5 anni 2 punti di crescita di pil” che verrà esaminato a partire dalla prossima settimana dalla nuova segreteria del Pd, insiste molto anche su altri punti precisi che, a suo modo di vedere, dovrebbero diventare i cavalli di battaglia sul terreno economico del governo Letta. In sintesi: una redistribuzione dei proventi della lotta all’evasione a favore dei contribuenti a basso reddito, che darebbe un impulso ai consumi; la creazione di nuove authority in settori sensibili come trasporti, rifiuti, infrastrutture; un obiettivo di riduzione di spesa di 4-6 miliardi all’anno senza riduzione del livello dei servizio (“c’è poco da fare, bisogna aumentare la produttività della spesa pubblica”); un obiettivo pari a 25-30 miliardi all’anno di riscossione derivata dalla lotta all’evasione; una radicale riforma della sanità; una riforma delle assicurazioni (“che oggi pesano sulle nostre tasche più o meno come due Imu”); una nuova riforma della Pubblica amministrazione; e infine nuovi criteri nella selezione degli investimenti pubblici, ripartendo praticamente da zero (“non possiamo più permetterci che un chilometro di autostrada o alta velocità costi da noi tre volte che in Francia”).

“Fino a oggi – conclude Gutgeld – il dramma della politica italiana è stato quello di aver sempre detto che le strade sono due: o si punta sullo stato sociale o si punta sullo sviluppo: come se l’alternativa al welfare state italiano fosse necessariamente l’introduzione di un thatcherismo forzato. Possiamo, dobbiamo rimettere lo stato sociale al centro, ma dobbiamo farlo senza ulteriore spesa pubblica. E dunque, certo, il fronte europeo è importante. Abbiamo bisogno di un po’ di flessibilità nella gestione del bilancio statale e tutti ci auguriamo che la Banca centrale europea un giorno possa adottare criteri simili a quelli adottati dalle Banche centrali di Giappone e America. Ma il vero braccio di ferro oggi bisogna combatterlo in Italia, e non partire da qui significa avere le idee un po’ confuse”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO

di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa

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