La guerra jovanottiana nel Pd e le promesse

a debito del Pdl sull’Imu

"Gimmi five”. Sabato 8 giugno Enrico Letta e Matteo Renzi hanno fatto le fusa per due ore a Palazzo Vecchio, a Firenze. Incontro. Un “cinque”. Battimani. Flash. Firmata la pace, comincia la guerra. Quella per la segreteria del Partito democratico. Le ostilità si aprono mercoledì 12 giugno con un documento pre congressuale dei bersaniani (senza D’Alema) intitolato “Fare Pd”. E’ il classico papello da seduta di autocoscienza. Vari passaggi di disagio psicologico ad personam – “Grosse Koalition nella sua versione più indigesta” (Monti e i tecnici), “governo di servizio” (l’esecutivo Letta), “la destra” (Berlusconi) – e sinistri riferimenti a svolte di “tipo sudamericano”, senza tralasciare la “visione storica” e “l’europeismo responsabile”, rivendicando “l’autonomia culturale” e mai dimenticando la “nevrosi quotidiana” del dibattito politico che conduce “verso il modello dell’uomo solo al comando, il primato della comunicazione e la riduzione della partecipazione a delega plebiscitaria al leader”. Il nome nero su bianco è quello di Berlusconi, ma l’inchiostro è tanto simpatico da rivelare il profilo di Matteo Renzi. Eccolo, lo spartito del Pd: musica sempre di Jovanotti, ma niente Gimmi Five e, sia chiaro, non mi fido di te.

Bagni di realtà? Lunedì 10 giugno, in piena torcida democratica, sul taccuino finiscono i dati Istat sulla produzione industriale che ad aprile segna un meno 4,4 per cento sull’anno precedente. Va tutto bene. Il best of the week arriva il 13 giugno quando Fabrizio Saccomanni tira giù un solenne e arcitecnico “giovedì gnocchi”. Palazzo Madama, seduta pomeridiana, question time su Imu e Iva. What else? Resoconto stenografico. Seduta aperta alle 16,01. I partiti vogliono – todos caballeros – cancellare l’aumento dell’Iva. Come? Dettagli, si vedrà. Nelle stesse ore in cui la Bundesbank sostiene di fronte alla Corte costituzionale tedesca un ricorso contro il programma di acquisto di titoli di stato da parte della Bce, in Italia il Parlamento festeggia in splendida solitudine la fine della guerra finanziaria. Sintetizza la faccenda il senatore leghista Sergio Divina: “… come il signor ministro può vedere, è un coro: centrodestra e centrosinistra fanno gli stessi ragionamenti”. Un coro. Da brividi.

Prende la parola Saccomanni, zigzagante: “Rispetto a qualche settimana fa la situazione in cui ci troviamo a gestire la politica economica e fiscale mostra dei segni non precisamente incoraggianti. I dati riguardanti il primo trimestre dell’anno mostrano un quadro peggiore: questo significa non solo una decrescita ancora seria, ma evidentemente comporta anche effetti negativi in ordine al gettito delle imposte, in particolare quello dell’Iva. (…) Il governo si sta muovendo con estrema cautela (…). Tra le alternative che vengono studiate c’è sostanzialmente tutto un ventaglio di possibilità, compresa l’eliminazione di un punto di aumento, che implica la necessità di trovare un finanziamento addizionale di 2 miliardi di euro e comporterà poi la necessità di reperire un finanziamento di 4 miliardi di euro per ciascuno degli anni successivi. (…) E’ all’esame anche la possibilità di ridurla di tre mesi o di rinviarla”. Una sola certezza: con l’Imu è un conto da otto miliardi. Chi paga? Divina, ormai interprete ufficiale della larghissima intesa sul relax contabile, non si dà per vinto e procede su due binari, uno da sport invernale e l’altro accademico: “Signor ministro, non siamo molto soddisfatti, perché percepiamo poca determinazione da parte del governo su questo argomento che dovrebbe invece essere una pista da bob, ossia un sentiero obbligato. (…) Lei è un economista, per cui non le dobbiamo spiegare da economisti che cosa sia la curva di Laffer”. Il bob e Laffer. Metafora Divina.

Il ministro dell’Industria, Flavio Zanonato, fa un salto a “Porta a Porta” e conferma il menù di Saccomanni. Giovedì gnocchi e il sabato non c’è trippa per gatti, l’Iva aumenterà. Il Pdl non la prende con filosofia. Brunetta s’inalbera la sera e continua la mattina. “Le risorse si troveranno. L’Iva non aumenterà, così come sarà eliminata l’Imu per la prima casa. I ministri tecnici servono a questo: a risolvere i problemi”. Mai fu così vero il detto: ogni promessa è debito. E’ venerdì (14 giugno) e Bankitalia sforna un numeretto: il debito pubblico in aprile è quota 2.041,3 miliardi di euro. Enrico Letta si desta dal sonnambulismo: “Basta con l’Europa dei numeri”. E poi? Attendiamo. Intanto c’è la Corte di Karlsruhe, la Bce di Mario Draghi assediata dai panzer della BuBa. Metà dei titoli di stato acquistati dalla Bce tra il 2010 e il 2012 sono italiani. Centodue miliardi di euro su duecentodiciotto. Tranquilli, arrivano i nostri. Discesa libera. Dalla pista da bob.

© - F.Q di Mario Sechi, 17/6

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