Quel che Mauro dimentica. Il potere assoluto

è solo dei magistrati senza l’immunità parlamentare

Ezio Mauro sa l’inglese, ma parla e scrive ostinatamente in torinese. Scrive per dare dignità alla campagna mediatica e politica contro Berlusconi, ed è nel suo pieno diritto farlo. Ma non accetta di ragionare sul piano politico. Offre ai lettori di Repubblica l’ideologia azionista. Vuole convincerli di quanto ha convinto lui, a furia di frequentare Zagrebelsky: non è una questione politica la sentenza che ha per conseguenza l’esproprio di sovranità democratica notorio e la cacciata dalle istituzioni di un leader da nove milioni di voti, è questione di scontro tra l’assolutismo di Berlusconi, la sua presunzione di essere legibus solutus, è questione democratica, per cui altro che governo di larga coalizione, altro che mediazioni, qui si tratta di fare una specie di guerra civile verbale contro un tiranno, nemmeno troppo metaforico, che cancella lo stato di diritto; e Mauro trascura di dare un’occhiata al New York Times  (vedi il Foglio di ieri), di cui detiene i diritti di riproduzione, quando il giornalone liberal globale scrive nel suo editoriale del 6 agosto che invece la faccenda sa di politica fino in fondo, una condanna è una condanna, ma qui sono in gioco fattori che vanno al di là del giudiziario (un paese che ha bisogno di essere governato, una sinistra che non offre garanzie, un Berlusconi tutt’altro che fatto fuori nonostante la minaccia incombente dei domiciliari o della galera).

Il tema è noto. Tutti eguali davanti alla legge e a chi la amministra. L’unico legibus solutus è casomai il pm o il giudice assolutista, non eletto, le cui sentenze vanno non tanto eseguite (ovvio) quanto rispettate (che è un giudizio di valore, non di fatto), incensate e prese a campione di libertà e di giustizia. Commutazione delle pene, grazia o amnistia sono parolacce. Per quello, perché la legge è eguale per tutti. Il direttore di Repubblica finge di dimenticare un dettaglio in questo caso sì importante, e perfino diabolico. La struttura della nostra Costituzione e della divisione dei poteri è stata mutata da un colpo legale-parlamentare del 1993, anno del Terrore, riuscito in un Parlamento assediato e minacciato di galera e di vari altri trattamenti alla Tonino Di Pietro, procuratore in crociata e poi politico antiberlusconiano da quattro soldi. Prima del colpaccio, che ha ratificato la crescita, denunciata da Angelo Panebianco, di una magistratura come potere forte e politicizzato, l’articolo 68 della Costituzione diceva che l’iniziativa giudiziaria contro i parlamentari abbisognava di una specifica autorizzazione della Camera di appartenenza. Il golpe cancellò quell’articolo, che significava: c’è una divisione dei poteri, e perciò non tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge, i parlamentari eletti hanno la guarentigia costituzionale che gli deriva dal loro status di rappresentanti della sovranità democratica.

L’ho già scritto, ma è bene ripeterlo, perché Mauro e i suoi amici azionisti, trascinati nell’inferno manettaro dalla loro ideologia antiberlusconiana, non capiscono o fingono di non capire. Quella guarentigia fu voluta da De Gasperi, Togliatti, Moro, Dossetti, La Malfa, Terracini e molti altri padri della patria. I quali non erano stupidi. Sapevano che molte marachelle sarebbero state compiute da qualche parlamentare disinvolto al riparo di quell’articolo 68 che divideva i poteri e negava ai procuratori lo status di decisore di ultima istanza capace di annullare la politica, ma lo vollero lo stesso. Perché? Perché consideravano il rischio di un prepotere della magistratura autonoma, e sottoposta al cosiddetto principio della obbligatorietà dell’azione penale (il grande alibi) maggiore, molto maggiore del rischio di qualche uso strumentale della guarentigia stessa. E’ chiaro dunque che tutti questi argomenti  paracostituzionali di Repubblica non valgono un fico secco. Che il problema della sovranità espropriata è reale ed è politico, non è una invenzione tirannica del cattivo di turno per sottrarsi a una decisione giudiziaria contro la quale invoca il costituzionalmente previsto (dall’articolo 68), fumus persecutionis (un latino molto chiaro). A norma della Costituzione cancellata sotto ricatto, Berlusconi ha pieno diritto di denunciare la persecuzione accanita ai suoi danni, come capo di mezza Italia che il partito dei giudici vuole distruggere; e Mauro, prima di dare ai suoi lettori la favoletta del tiranno che si pone sopra la legge, dovrebbe riguardarsi la verità storica e le sue ragioni, di tanto superiori al furore ideologico. G. Ferrara, il Foglio 8/8

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