Saccomanni sotto sequestro volontario

Tardiva minaccia di dimissioni svela il cappio di Squinzi e Cgil

La minaccia di dimissioni del ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, pare insensata e tardiva perché motivata dalla sola questione dell’Iva. E non scaturisce, come sarebbe invece condivisibile, da un moto di frustrazione per l’inerzia governativa nel fare le riforme, che poi sono la “ragione sociale” dell’esecutivo. Se non si aumenta l’Iva in ottobre, per il 2013 mancano circa 2 miliardi per rimanere entro un deficit del 3 per cento (oltre alle coperture Imu per 2,4 miliardi). E per di più per recuperare questa cifra basta spostare qualche spesa di alcuni mesi, posto che non si voglia fare qualche potatura nel bilancio. Era meglio che avesse minacciato di lasciare il posto di capitano della nave della nostra economia perché non è stato liberalizzato il mercato del lavoro o perché la produttività resta un miraggio. Saccomanni però ha accettato di rifinanziare la cassa integrazione e, senza pensare a una riforma degli ammortizzatori sociali, intende trovare la copertura per l’assunzione nel pubblico impiego dei precari, per giunta sancendo il principio per cui – per lo stato – s’adottano solo contratti a tempo indeterminato. La verità è che, attraverso Saccomanni, il governo s’è fatto ipotecare da Confindustria che, intanto, ha già ottenuto i pagamenti dei crediti pregressi delle imprese – e tali crediti potevano essere scontati dalla Cdp – e adesso vorrebbe prenotare quei 4 miliardi derivanti dall’aumento dell’Iva nel 2014 per finanziare la riduzione del cuneo fiscale. Un taglio delle tasse su cui ieri si sono trovati d’accordo, in perfetta sintonia concertativa, il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, e il segretario della Cgil, Susanna Camusso. Sono queste lobby ad avere “sequestrato” Saccomanni.

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