“Restano dieci anni per salvare il pianeta”.

Come ventiquattro anni fa

“E’ iniziato il conto alla rovescia per la Terra […]. Entro dieci anni si dovrà porre rimedio alle modificazioni del clima, al buco nello strato dell’ozono, al degrado del suolo e alla crescita della popolazione. Altrimenti il nostro pianeta entrerà in balia di mutamenti irreversibili, prima dell’ambiente e subito dopo dell’economia. Tra dieci anni, se nulla cambierà in meglio, avremo ormai superato il punto di non ritorno”. Questa citazione non è l’incipit di un articolo scritto in questi giorni per presentare il report dell’Ipcc sui cambiamenti climatici, in uscita venerdì, anche se ci somiglia molto, ma l’inizio di un pezzo pubblicato su Repubblica l’11 febbraio del 1989. Ventiquattro anni fa. Titolo: “Dieci anni per salvare la Terra”. Due giorni fa Repubblica.it apriva con un articolo in cui si spiegava che, stando alle indiscrezioni che fuoriescono dai rappresentanti dei governi riuniti in questi giorni a Stoccolma per gli ultimi ritochi al report, la temperatura globale continuerà ad aumentare, e che occorre ridurre le emissioni per evitare la catastrofe. Titolo: “Dieci anni per salvare il pianeta”. Eppure, stando ai calcoli, dovremmo essere già a -14. Il giornalista-catastrofista collettivo colpisce ancora, a quasi cinque lustri di distanza, con le stesse formule, i medesimi allarmi e i soliti ultimatum. Già nel 2009 l’Onu aveva fatto sapere che avevamo “meno di dieci anni per salvare il pianeta”, e nello stesso periodo il Principe Carlo d’Inghilterra parlava di “99 mesi per salvare la Terra”, cioè di poco più di otto anni. Più rassicuranti altre previsioni, come quella letta ieri su Qn, che parlava di “dodici anni e mezzo” (non un giorno di più, non uno di meno), mentre stando alle previsioni di Al Gore, dovremmo averne appena tre, dato che nel 2006 avvertiva che ci restavano “appena dieci anni per salvare il pianeta”.

Le previsioni sul clima sono come i falli da rigore nel calcio, ognuno vede quello che vuole, ma dopo anni in cui molte certezze sul futuro catastrofico del clima mondiale si erano infrante, si pensava di poter leggere qualcosa di più obiettivo, e non un semplice copia e incolla di vecchi articoli aggiornati con qualche dato.

Anche perché quel che filtra dalla riunione di Stoccolma non è un’atmosfera di consenso e concordia, dato l’imbarazzante paradosso che si sarebbe venuto a creare nei documenti dell’Ipcc (il panel di scienziati dell’Onu che studia l’impatto dell’uomo sui cambiamenti climatici): pare infatti che gli scienziati si dicano ancora più certi del fatto che le emissioni prodotte dall’uomo facciano aumentare le temperature globali, ma che contemporaneamente abbiano ammesso che il global warming sia in “pausa” dal 1998. Durante questa settimana i rappresentanti di 195 governi di tutto il mondo hanno messo a tema proprio questo paradosso: se siamo certi che le emissioni fanno riscaldare la Terra, e se siamo anche certi che negli ultimi anni sono aumentate, come è possibile che da quindici anni la Terra non si scaldi più?

Il documento che uscirà venerdì, è bene saperlo, avrà poco di scientifico e molto di politico, e probabilmente sarà il frutto di compromessi tra governi trovati in questi giorni. Giornali, siti internet e tv hanno già cominciato a ripetere la vecchia litania del presto moriremo tutti, lasciata da parte dopo che diversi dati avevano smentito diverse previsioni. Mentre il Polo nord si scioglie più lentamente di quanto annunciato, per esempio, l’Antartide cresce ben oltre la media. Per gli esperti questo avviene “nonostante il riscaldamento globale”. Che evidentemente così globale non è.

FQ. di Piero Vietti   –   @pierovietti, 25/9

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