E’ la sostanza che è eversiva

La nota di Napolitano e i margini di manovra della pacificazione

Dopo il “fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante” di mercoledì sera, reso concreto ieri dalla raccolta delle lettere di dimissioni dei parlamentari del Pdl, Giorgio Napolitano è intervenuto con una secca nota. Ha criticato “la gravità e assurdità dell’evocare un ‘colpo di stato’ o una ‘operazione eversiva’ in atto contro il leader del Pdl”. Ha giudicato “non meno inquietante” il proposito di “esercitare un’estrema pressione sul capo dello stato per il più ravvicinato scioglimento delle Camere” mentre invece, secondo lui, “c’è ancora tempo, e mi auguro se ne faccia buon uso”. Sul fronte del Pdl, la nota del Quirinale non ha sortito altro effetto, all’apparenza, che esacerbare gli animi (“la definizione di ‘operazione eversiva’”, hanno risposto i capigruppo Brunetta e Schifani “è invece assolutamente realistica”). Nelle parole di Napolitano si legge la coerente difesa di una linea istituzionale, ma anche un senso di inevitabilità politica, un esaurirsi di risorse per la costruzione di alcunché. Il capo dello stato conosce la difficoltà di tenere in piedi un governo di pacificazione quando di pacificazione non c’è traccia. Con tenacia e pazienza, cerca ancora in queste ore di trovare il filo di una ripresa del dialogo. Preferirebbe non affidarsi a tecnicismi raffazzonati o di vecchia scuola (la parlamentarizzazione della crisi pare ormai scontata), probabilmente non si dimetterà in nessun caso perché ciò sancirebbe l’irreversibilità della crisi istituzionale, ma non desidera certo favorire la creazione di un governicchio d’inverno. Il suo costante richiamo al senso di responsabilità non si sposa a nessuna di queste ipotesi un po’ avventuristiche.

Però l’ineluttabilità formale della sua traiettoria rischia di perdere efficacia nel chiedere al centrodestra di non creare condizioni estreme di ingovernabilità, insomma di non fare fesserie, come gli è riuscito finora, ogni volta citando gli impegni in questo senso di Silvio Berlusconi e spronandolo a mettere da parte gli  umori suoi e del suo partito personale. Ma se, giunti sul piazzale della ghigliottina politica, la ragionevolezza istituzionale si arresta sulla soglia di una forma che è negazione della sostanza, per cui Berlusconi e il Pdl dovrebbero rassegnarsi a considerare una questione privata, personale, l’esclusione dalla vita politica per via giudiziaria (una discutibile via giudiziaria, poiché le sentenze si applicano, ma anche si discutono) del leader di un grande partito, escludendone ogni contenuto, risvolto o ricaduta, e pretendendo che questo non sia denunciato come una lesione profonda della democrazia, il gioco rischia di farsi davvero insostenibile.

E l’acribia istituzionale di Napolitano di infrangersi contro il mancato riconoscimento, da parte della sinistra, delle cause di quanto accade. IL Foglio, 27/9

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