Chiesa madre, maestra o lagna?

Lettera di cardinale all’Elefantino su Papa Bergoglio,

con rispostaccia causa flagrante ipocrisia

Al direttore - Mentre non viene meno l’entusiasmo popolare per Papa Francesco, non mancano alcune voci critiche che si sentono messe in crisi proprio per gli stessi motivi per cui i più lo applaudono. Ora, a prescindere dai facili entusiasmi o dalle incipienti delusioni, è opportuno avere una corretta comprensione del modo singolare (ma quale Papa è stato uguale agli altri?) di questo Pontefice “venuto dall’altro mondo” per non creare equivoci ed inutili contrapposizioni.

 Papa Francesco con i suoi atteggiamenti, ma anche con le sue parole, ha chiarito l’approccio che vuol dare al suo pontificato. Con l’intenzione di incarnare l’annuncio del Vangelo ai tempi in cui è stato chiamato a guidare la Chiesa, intende portare la Chiesa a svolgere la sua missione manifestando il volto misericordioso di Dio che ha mandato il suo Figlio (e questi ha mandato la Chiesa) nel mondo non per condannare, ma per salvare tutti gli uomini. Questa è la “Buona Novella” che costituisce il punto di partenza e l’essenza della nuova evangelizzazione. Da qui (e non prima o indipendentemente da qui) discendono tutte le altre componenti della missione della Chiesa, compreso quel deposito della fede e di dottrina che essa ha accumulato nel tempo sotto l’azione dello Spirito Santo. Secondo Papa Francesco, questo ritorno al “primo annuncio” è ciò di cui ha bisogno il mondo di oggi così ferito e di cui la Chiesa deve farsi carico , diventando, secondo la sua stessa espressione, un “ospedale da campo” per curare le ferite e riscaldare il cuore degli uomini.

 Di fronte a questo approccio perfettamente evangelico e già adombrato nel Concilio Vaticano II, sorgono voci allarmate per il rischio di offuscamento della dottrina e della morale cattolica (che sarebbero poco menzionate da parte del Papa). Ora, a prescindere dal fatto oggettivo che Papa Francesco ha esplicitamente affermato di essere (da buon gesuita) un “figlio della Chiesa” che non intende cambiare la dottrina e la morale, bisogna valutare il suo ministero petrino alla luce della missione ricevuta, cioè di annunciare il Vangelo per la salvezza di questo mondo. Ora, è parte essenziale di questa missione porsi la domanda di che cosa hanno bisogno gli uomini del nostro tempo per accogliere meglio la salvezza annunciata. Papa Francesco è convinto che, una volta confermata la dottrina tradizionale, la sua ossessiva ripetizione non faccia raggiungere lo scopo per cui la Chiesa è mandata nel mondo. La sua convinzione è che il mondo secolarizzato, individualista e relativista, ha bisogno di sperimentare l’amore gratuito ed incondizionato di Dio come si è manifestato in Cristo. Solo da questa esperienza di una Chiesa che si abbassa (chenosi) e condivide (com-passione) le umane fragilità (eccetto il peccato) può rinascere tra molti l’attrattiva della salvezza che passa attraverso il riconoscimento ed il pentimento dei propri peccati; ma, appunto, dopo che si è ristabilita una relazione di amore con Dio attraverso la Chiesa. Per questo Papa Francesco, pur confermando la dottrina della Chiesa circa l’omosessualità ed il matrimonio, di fronte ad un omosessuale o divorziato assume l’atteggiamento di vicinanza ed accoglienza e, se non ripete la dottrina (che essi già conoscono), questo suo accostarsi alle debolezze mira esattamente a fare in modo che quelle persone in difficoltà si sentano accettate come sono per diventare come il Signore le vuole, superando l’inganno ed il peccato. E’ esattamente quello che faceva Gesù: quando fu interrogato circa il permesso dato da Mosè agli uomini di divorziare, non ebbe esitazione a dire che ciò era stato motivato dalla “durezza del vostro cuore” e che “chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio” (Mt 19, 8-9). Ma quando gli portarono l’adultera perché confermasse la condanna a morte, Gesù non perse tempo a ripetere la dottrina, ma, dopo aver svelato l’ipocrisia dei farisei che si ritenevano giusti perché riuscivano a nascondere meglio i loro peccati, rimasto solo con la donna, le mandò l’unico messaggio nuovo (“Buona Novella”) che poteva salvarla da quella situazione: “Nessuno ti ha condannata? Neanch’io ti condanno; va’ d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 11). Parole in cui carità e verità si fondano armoniosamente perché il contesto è quello dell’amore in cui anche il peccato viene chiamato col proprio nome, ma è ormai sconfitto dalla nuova alleanza di amore che si è creata tra Gesù e la donna peccatrice.

Ecco il “nuovo equilibrio” tra missionarietà e la dottrina della Chiesa di cui sente l’esigenza Papa Francesco. Una Chiesa che è Madre e Maestra, esattamente in quest’ordine e nella inscindibile continuità dei due appellativi: una Madre che non trascura mai di insegnare, ed una Maestra che quando insegna dimostra il suo amore materno. di Giuseppe Versaldi

Caro signor cardinale, un po’ lebbroso il Vaticano dev’essere, come dice Francesco, se ospita tanta ipocrisia. Mia madre si chiamava Marcella, della mia maestra ho dimenticato il nome. Lei adesso mi vuole spiegare l’amore di Dio, il perdono della meretrice, il primato della fede sulla dottrina, la chiesa mamma eccetera eccetera. Lei, uomo di curia come pochi altri, fa il difensore d’ufficio di un Papa che un giorno o l’altro potrebbe affidarla alla gendarmeria pontificia e farla accompagnare alla porta di Sant’Anna. Ma mi ha preso per scemo? Vuole forse erudire il pupo e spiegargli per benino quanto sia ortodosso il Papa venuto dalla fine del mondo? So benissimo che Francesco da bravo gesuita si è buttato, come Martini prima di lui, su un relativismo mondano e un corteggiamento del mondo che spera efficace allo scopo di tirare fuori la chiesa dai guai della secolarizzazione forzata, e non ho alcuna animosità nei suoi confronti, lo capisco e mi limiterò alla critica culturale, come ieri con i predecessori; so che un ciclo si era chiuso, un anno prima delle dimissioni di Benedetto ne ho scritto su queste colonne in un articolo intitolato “Le dimissioni del Papa”, non ho bisogno di essere richiamato alla compassione, non mi permetto di essere misericordioso, non sono blasfemo, Dio ha il dovere di essere misericordioso, io al massimo quello di essere giusto. Gli atei devoti, come finalmente si è visto, abitano da un’altra parte. Io sono un povero laico che aveva impegnato le sue idee su quelle di Wojtyla e Ratzinger, e ancora le impegna, compresa la Humanae vitae di Paolo VI, trovandole giuste e profetiche, razionali e storicamente utili per il mio tempo di confortevoli peccadillos non riconosciuti e di superstizioni travestite da scienza e ideologia del progresso. Non sono vedovo della dottrina morale, me ne impipo, non voglio lezioni sul perdono e l’amore delle persone e l’accoglienza e il dialogo, le cose in cui credo sono oggetto di una fede razionale che abita fuori delle mura della chiesa. Vi faccio molti auguri ma non fatemi la lezione, tanto più in versione difesa d’ufficio del signor Papa, sennò prendo cappello e vi do la baia. E spero che Francesco, già che c’è, almeno abolisca l’inutile e inutilmente principesco sacro collegio dei cardinali. Il prossimo lo vogliamo eletto dai vescovi di tutto il mondo, con il porcellum. Giuliano Ferrara, 3/10

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