L’errore del Quirinale. Quel sostegno alla pacificazione

che non è arrivato da Napolitano

Polemizzare con il capo dello stato accusandolo di aver tramato per annichilire il leader del centrodestra è un errore politico evidente, e lo sarebbe persino se le voci messe in giro su questo argomento fossero fondate, figurarsi quando appaiono sguaiate in assenza di prove convincenti. Questo non significa che l’atteggiamento tenuto da Giorgio Napolitano su questo tema cruciale non si presti però a qualche osservazione critica. Napolitano, come ricorderete, ha condizionato la sua disponibilità alla rielezione alla presidenza della Repubblica alla creazione di un governo e un clima di pacificazione (“la difficoltà delle sfide di oggi e del futuro richiedono nuovo senso di responsabilità nazionale, una rinnovata capacità di coesione nel libero confronto delle posizioni alla ricerca di ogni terreno di convergenza”). Il che gli ha attirato le critiche dei pasdaran dell’anti berlusconismo. Il presidente avrebbe potuto fare un uso più penetrante dei suoi poteri istituzionali per preservare questo obiettivo anche dopo la condanna sancita dalla Cassazione? Sì. Se avesse pronunciato con più tempestività la parola “amnistia”, che a quanto pare campeggerà nel suo messaggio annunciato sulla crisi delle carceri, se avesse parlato in modo meno notarile dell’ipotesi di grazia, collegandola a una esplicita ragione politica, per esempio, avrebbe dato un contributo più coerente alla causa della pacificazione e avrebbe contribuito a non far “prevalere  il cieco e acceso scontro” nel nostro panorama politico. Attenzione. Non si tratta di obblighi cui il presidente si sia sottratto e ancor meno di atti consapevolmente volti a sostenere lo strapotere giudiziario (strapotere che in realtà Napolitano ha sempre combattuto, a modo suo), ma di un rispetto esageratamente rigoroso di limiti che hanno finito con il farlo apparire subalterno. Così si spiega anche la reazione un po’ sgangherata dei berlusconiani, attizzata da cadute di stile, ripetutesi nelle ultime ore, del presidente del Consiglio, che per il modo in cui è stato nominato ribalta sul Quirinale l’effetto delle sue intemperanze. Se la situazione resta così fragile è anche perché dalla presidenza della Repubblica non è venuto tutto il sostegno alla pacificazione che era lecito attendersi.

Il Foglio, 7 ottobre 2013 - ore 21:30 

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