Aprire le frontiere o chiuderle. Morte

per acqua, la nostra unica colpa è la perversione logica

Mentre si vivono nuove angosce, mentre cinquecento povericristi vengono salvati e altri duecento nuotano nel mare a settanta miglia da Malta, e avanza lo spettro di una nuova strage per acqua, quando le bare di centinaia di adulti e bambini se ne stanno lì nell’isola a dormire in attesa di funerali di stato che non si riesce a organizzare, ecco che si ripropone il dilemma tra demagogia e morale. Il partito del cinismo fazioso se la prende con la Bossi-Fini e fa passerella con gli appelli cercando di insinuare il dubbio che siano quei codicilli i responsabili del disastro. Il capo della Croce Rossa, giustamente, si domanda se non sia il caso di aprire un corridoio umanitario, cioè aprire le frontiere e assumersi responsabilità drammatiche ma irrecusabili nel quadro di un’emergenza mediterranea ed europea. Probabilmente la storia e la geografia hanno già deciso per noi, e non c’è più niente da fare. Bisogna avere il coraggio di dirsi che quella dell’emigrazione selvaggia, così tremendamente diversa dall’emigrazione europea di primo Novecento, è una tragedia post coloniale senza soluzione negli schemi umanitari classici. L’altra possibilità, chiuderle davvero, le frontiere, ed ermeticamente, è un flaus vocis, visto che alla logica politica dell’imperium abbiamo sostituito, in Europa e nel mondo occidentale, la triste banalità delle isole pedonali. Quello che è criminale è tenere le frontiere mezze aperte e mezze chiuse. Attirare sempre nuovi traffici di uomini, donne e bambini, promettendo soccorso e accoglienza, definendo la frontiera della clandestinità migratoria come quel braccio di mare superato il quale si è salvi dall’inferno da cui si fugge, posto che si riesca a sbrigarsela con i mezzi e le bagnarole della linea marittima di immigrazione low cost. I povericristi spesso non ce la fanno.

© - FOGLIO QUOTIDIANOGiuliano Ferrara, 11 ottobre 2013 - ore 21:30

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