Il piano Scaroni per recuperare il gap energetico
- Dettagli
- Categoria: Firme
con l’America lo shale gas è il futuro, noi stiamo perdendo
soldi e tempo. Attrezziamoci. L’ad di Eni avverte l’Europa sul Ft:
L’Europa soffre di un grave svantaggio competitivo rispetto agli Stati Uniti perché si affida alle fonti energetiche tradizionali sempre meno convenienti. L’America si sta rendendo indipendente dai paesi produttori di petrolio grazie allo sfruttamento dello shale gas, il gas estratto dalle rocce, ma in Europa questa tecnologia stenta a prendere piede anche per l’opposizione pubblica alla pratica impopolare del fracking, eppure l’uso di questo tipo di idrocarburi sarebbe un volano per la crescita. Lo sostiene l’amministratore delegato di Eni con un’analisi pubblicata sul Financial Times di ieri e intitolata così: “L’Europa è penalizzata dalla sua costosa energia”.
Secondo Scaroni “l’obiettivo della politica energetica europea dovrebbe essere quello di coniugare la crescita economica con la sostenibilità ambientale. Tuttavia, ci siamo ritrovati con i costi energetici che ostacolano la crescita – ma le emissioni di gas a effetto serra non sono diminuite nonostante il calo del consumo di energia. Il problema è che in Europa non siamo riusciti finora a cogliere le implicazioni della rivoluzione dello shale gas americano. Grazie al rapido aumento dell’efficiente produzione di gas non convenzionale, le aziende statunitensi pagano circa 3,50 dollari per milione di unità termiche britanniche (MBtu) per il loro gas naturale. Che è circa un terzo di quello che pagano gli europei”.
Oltre al gap di competitività, secondo Scaroni, che nelle ultime settimane ha insistito spesso in occasioni pubbliche sui meriti dell’uso del gas non convenzionale, la scoperta dello shale gas anche in Europa eviterebbe di fare pagare a consumatori e imprese lo scotto di un’energia troppo costosa, visti gli elevati prezzi di mercato, e il dispendio di risorse per incentivare le fonti rinnovabili. “Per quanto riguarda l’elettricità – spiega Scaroni – i consumatori europei non solo sono colpiti dai prezzi delle materie prime di gas relativamente elevati, ma devono anche pagare un costo extra per coprire più di 30 miliardi di euro di incentivi da investire in rinnovabili che i paesi dell’Ue spendono ogni anno. Come risultato, l’elettricità in Europa è due volte più costosa che in America”. Inoltre, se l’obiettivo è quello di creare le condizioni per favorire l’arrivo di capitali freschi (tema sensibile soprattutto in Italia) e attrarre investimenti, è all’energia a basso costo che secondo Scaroni dovrebbero guardare i leader europei. Non è un caso se gli Stati Uniti di Barack Obama hanno “un enorme vantaggio competitivo”. I costi energetici ridotti sono infatti “in cima agli altri fattori che rendono gli Stati Uniti un buon posto per un investimento industriale, tra cui un mercato del lavoro flessibile e qualificato, ottime risorse manageriali, vantaggi fiscali e un ambiente generalmente business-friendly. Alla luce di questo – prosegue l’ad di Eni – è difficile per le imprese giustificare nuovi investimenti nelle industrie europee. Le attività ad alta intensità energetica, come impianti petrolchimici e raffinerie, che possono trasferirsi negli Stati Uniti, lo stanno già facendo. La domanda europea di gas è in calo del 15 per cento dal 2008”. Inoltre, in forza della indipendenza dal carbone come conseguenza della crescita dello shale gas, il carbone americano sta “sporcando” il mix energetico europeo. “La generazione elettrica da gas è diminuita del 25 per cento tra il 2010 e il 2012, mentre la produzione di energia da carbone è aumentata del 10 per cento. Il paradosso è che l’aumento delle emissioni di anidride carbonica causate dal carbone addizionale ha quasi spazzato via i benefici degli investimenti in energie rinnovabili e la riduzione dell’attività economica degli ultimi cinque anni”, sottolinea Scaroni.
Lo svantaggio competitivo “non scomparirà da solo” e non è sensato aspettarsi un aiuto da parte degli americani. Perché se “gli Stati Uniti dovessero esportare quantità significative di shale gas in Europa nel tempo in cui verrà liquefatto, trasportato e rigassificato, sarà comunque due volte più costoso di quanto sarebbe negli Stati Uniti” e non basterebbe nemmeno abbassare i prezzi del gas europeo attuali”, dice Scaroni che, per aggredire il problema, affida alcune idee al quotidiano finanziario britannico e le consegna ai leader europei.
La prima è quella di cercare e poi sfruttare il “tanto” shale gas presente in Francia, Germania e Regno Unito, cercando il consenso pubblico necessario per superare la diffidenza dei cittadini. “Naturalmente, l’opposizione è comprensibile: il fracking è rumoroso e invasivo, e il continente è densamente popolato. Ma – dice Scaroni – se l’Europa è seriamente intenzionata a creare benessere e posti di lavoro, è un’opzione che vale la pena di esplorare”. L’apripista in questo caso sarebbe il Regno Unito, dove David Cameron sta cercando di creare un’industria del gas naturale anche tramite gli incentivi fiscali. “Se dovesse riuscire a creare una sana industria di shale gas, potrebbe aprire la strada all’intera Europa”, dice Scaroni.
Il capo di Eni suggerisce di rendere più efficienti le risorse convenzionali già presenti, compreso l’atomo. Ma lo fa in sordina perché ci sarebbe un’altra idea “più radicale” per fare convergere gli interessi degli europei e dei paesi produttori a noi vicini sull’obiettivo di non rimanere schiacciati (tutti quanti) dalla rinnovata competitività americana. “Potremmo rafforzare i legami commerciali e politici con i nostri fornitori tradizionali di energia, e in particolare la Russia, che fornisce il 25 per cento del gas europeo – una cifra che sta crescendo. C’è sicuramente spazio per fare qualcosa. Sul fronte dei costi, in realtà è più vantaggioso estrarre le vaste riserve di gas convenzionale in Russia, Algeria e Norvegia rispetto a quelle degli Stati Uniti. E se i nostri fornitori continueranno a cercare di ottenere il prezzo più alto possibile per il loro gas, spremeranno l’industria europea e distruggeranno il loro mercato naturale. Se le aziende europee emigreranno oltre Atlantico, tutti perderanno: i ragazzi europei non avranno un lavoro e quelli russi non si avvantaggeranno dei ricavi del gas”.
Rivedendo questo rapporto e sincronizzando le rispettive esigenze “c’è molto da guadagnare”, dice Scaroni, perché “le nostre imprese potrebbero ottenere l’accesso al gas abbondante e a buon mercato, e ai fornitori sarebbe garantito un mercato stabile e in crescita”. Scaroni evoca dunque un’alleanza extracontinentale, per comunione d’interessi, che raffozerebbe l’Europa allineandola alla competitività dell’America. Il capo di Eni si domanda se sia possibile fare del nord Africa e della Russia il Texas e l’Oklahoma del Vecchio continente. La risposta resta inevasa (“forse, ma non sarà tanto presto”). Solo col tempo le “forze di gravità” dell’economia “ci attrarranno”, sostiene Scaroni, convinto che, “quando qualcosa ha un senso imprescindibile, spesso trova un modo per accadere”.
© - FOGLIO QUOTIDIAN1 novembre 2013 - ore 06:59