Nervi poco rigorosi. In Germania

infuriano strani bollori anti italiani

Intemperanze d’establishment contro Draghi (Bce) e Buti (Commissione)

Il presidente del Consiglio, Enrico Letta, durante le sue più recenti trasferte europee, non ha perso occasione per dirsi “fiducioso” (così ieri a Malta) o addirittura “molto fiducioso” (così la settimana scorsa in Irlanda) sulla futura direzione della politica economica tedesca: “Il governo tedesco che uscirà dal negoziato sulla grande coalizione sarà con noi sulla strada di una legislatura per la crescita”. Proprio in queste ore però, da parte dell’establishment tedesco, s’odono toni decisamente meno indulgenti rispetto all’Italia. Complici infatti le scelte espansive (o “lassiste”, secondo gli osservatori più ortodossi) assunte giovedì scorso dalla Banca centrale europea, e anche i possibili richiami in arrivo dalla Commissione Ue rispetto agli squilibri dell’economia tedesca, nel dibattito pubblico della prima economia europea sono tornati ad affiorare pregiudizi nemmeno troppo velati su personalità con passaporto italiano.

Partiamo da Mario Draghi, il presidente della Banca centrale europea. Ieri il Financial Times titolava così un retroscena pubblicato in prima pagina: “La spaccatura nella Bce alimenta le paure di una reazione tedesca”. Il punto, per il giornale della City, è che Draghi la settimana scorsa ha deciso di reagire con prontezza inusitata al calo dei prezzi nell’Eurozona (reso noto nemmeno dieci giorni prima dall’Eurostat), predisponendo una riduzione del costo del denaro fino ai minimi storici dalla nascita dell’euro (0,25 punti) per contrastare la disinflazione, senza attendere l’unanimità tra i 23 membri del Consiglio direttivo della Banca centrale. Risultato: una “rivolta”, come la chiama il Ft, cioè sei voti contrari al taglio dei tassi. Secondo il quotidiano, avrebbero sicuramente votato “no” i due banchieri tedeschi (Jens Weidmann in quota Bundesbank e Jörg Asmussen del Comitato esecutivo Bce) e i banchieri centrali di Olanda e Austria. La spaccatura tra banchieri nordici e colleghi della “periferia” sarebbe stata stavolta nettissima; i primi avrebbero voluto attendere altre conferme del calo dei prezzi prima di immettere liquidità nei mercati, i secondi invece temono troppo che la ripresa dell’economia reale deragli. Adesso però, secondo fonti Bce del Financial Times, “la curvatura anti italiana di alcune critiche rivolte alla Bce desta particolare preoccupazione. Draghi è l’ex governatore della Banca d’Italia e il paese terminerà l’anno in corso con la recessione più profonda tra i cinque maggiori stati dell’Eurozona”. Non a caso l’economista tedesco Hans-Werner Sinn, intervistato dalla Bild, ha accusato Draghi di fornire di fatto “prestiti a basso costo” ai paesi meridionali, nel tentativo di garantire una scorciatoia rispetto alle riforme necessarie. La tesi dei “favoritismi” pro Italia, ieri, l’alimentava pure lo Spiegel, secondo cui la Bce sarebbe troppo generosa nell’accettare il collaterale dalle banche italiane in cambio di liquidità. L’agenzia di rating Dbrs, l’unica delle quattro principali che ancora dà una “A” ai titoli italiani, avrebbe infatti confidato al giornale tedesco che tale voto non dovrebbe valere per i Btp “strip” (o mantello, un tipo particolare di obbligazioni zero coupon); eppure la Bce continua ad accettare da parte delle banche italiane questi titoli, come se fossero di livello “A”.

Il richiamo in arrivo dall’Ue contro Berlino

Lo Spiegel, nel fine settimana, se l’è presa anche con Marco Buti, dal 2008 direttore generale della Commissione Ue per gli Affari economici e finanziari. Ecco l’incipit del pezzo: “Un nativo dell’Italia tende a dare la colpa di molte malattie dell’Eurozona alla natura e agli effetti della politica economica tedesca”. Qual è dunque la colpa di Buti? Quella di essere ai vertici della Commissione che domani potrebbe avviare “un’inchiesta approfondita” sull’avanzo delle partite correnti tedesco (essenzialmente la differenza tra export e import) che supera la soglia d’allarme decisa dalle nuove regole europee. Ma davvero Buti si accanisce contro Berlino per interessi quasi-nazionalistici? No, perlomeno a giudicare da quanto scritto ieri dal superiore di Buti, il commissario (finlandese) Olli Rehn. Anche secondo lui, noto rigorista, non mancherebbero le ragioni per ricordare a Berlino che la sua “domanda interna” è “ancora modesta”. Il paese può dunque fare di più “per facilitare un genuino ribilanciamento nell’Eurozona”.

© - FOGLIO QUOTIDIANO di Marco Valerio Lo Prete   –   @marcovaleriolp, 11 novembre 2013 - ore 21:30

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