Il Gran Consiglio del PDL-FI

Non sarebbe male un tanto di rispetto personale,

ma è lotta dura. Situazione surreale a destra. Stanno per riunirsi in forma solenne, avevano deciso con tanto di taglio del nastro di tornare al nome originario, Forza Italia, però la divisione è acuta e si contano le teste in attesa di tagliarle (alle origini della democrazia politica c’è la distinzione tra la conta e il taglio, ma la destra italiana è nata in una forma di carismatico leaderismo personale e di adesione per acclamazione, e cambiarne i connotati in quelli di un partito tradizionale non è facile per nessuno, posto che lo si voglia). Fioccano insulti, e bisognerebbe invece che si facesse risparmio dell’aspetto più esteriore e moralistico della divisione, con un poco o un tanto di rispetto personale in ogni polemica, ma non è così. Amen.

La differenza tra chi si considera lealista e chi si dice governista è in realtà tutta politica, ma è appesa a una questione personale di lancinante presa emotiva. Come si deve trattare l’eroe di tutta l’avventura? Un eroe esposto al pericolo personale diretto. Un eroe che ha i voti, e solo lui davvero li ha. Un eroe che vuole continuare a risplendere senza discussioni e non accetta di farsi opacizzare in alcun modo. Un capo, oltre tutto, che pochi mesi fa scelse una delegazione per il governo, dopo aver creato con la sua azione personale le condizioni per cui il governo è nato. Ora l’emancipazione dei ministeriali prende la brutta caratura, non tanto dell’irriconoscenza quanto della leggerezza, della fatuità.

Ma dove vanno? Questo si domandano coloro che vorrebbero da Alfano e dagli altri semplicemente un atto di unità intorno al leader sulla questione della decadenza da senatore voluta con accanimento e votata con mezzi e un profilo politico d’emergenza, contro regole usuali e sempre rispettate come il voto segreto, senza attendere gli automatismi della magistratura, dagli alleati di governo del Pd. Berlusconi sembra sempre di più incline a mollare il governo e a farsi capo di un’opposizione sociale e politica generale. Ha dubbi, e fino alla fine, come dimostrò il voto di fiducia del 2 ottobre, la sua decisione è esposta al ripensamento. Però la sua manovra ha un senso politico e civile, denuncia una anomalia grave di sistema, punta sul rilancio della questione della giustizia come questione di fondo, cerca di evitare (è giusto ed è umano) un isolamento personale del reietto, con la vita che continua.

Non è facile per lui. Ma gli altri? Danno l’impressione di una solidarietà di squadra, di carriere più che di politiche, mascherata da senso di responsabilità nazionale. E il loro presidente del Consiglio si fa punto di riferimento con notevole ma pratico cinismo, e non fa nulla per riconoscere la genesi del suo governo e il carattere della sua maggioranza originaria. E alla fine è tutta una storia di manovre parlamentari contro una realtà in cui i voti li hanno altri protagonisti. Non c’è sbocco per i ministeriali.

© - FOGLIO QUOTIDIANO Giuliano Ferrara, 12 novembre 2013 - ore 06:59

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