Cronaca di un berlusconicidio annunciato

Grigio, frettoloso e collerico, il Senato ha espulso

l’ex premier. “Ma non finisce così, io non mi ritiro”

A un certo punto Sandro Bondi si alza in piedi, prende la parola, osserva i suoi colleghi di partito, anche gli uomini di Angelino Alfano, torvo, “inutile resistere tanto hanno già deciso di espellerlo”, soffia nel microfono. E il Senato, luogo di accidia e di uggia, si anima all’improvviso di un ritmo sforzato, una recita in movimento di cui ciascuno è insieme spettatore, attore, autore, impresario. “Discutiamo da cinque ore”, recita stentoreo Luigi Zanda. “A nome della stragrande maggioranza dell’Aula chiedo di mettere ai voti l’ordine del giorno. Senza indugi”, dice il capogruppo del Pd, rivolto al presidente del Senato Pietro Grasso. E dunque si vota. Sono le 17 e 43. Silvio Berlusconi decade con voto elettronico, ci vogliono dieci secondi. D’un tratto appare uno striscione del Movimento 5 stelle, “fuori uno”, e un sentimento di sinistra letizia sembra pervadere alcuni uomini del centrosinistra, di Sel, e i senatori di Beppe Grillo. Applaudono, e con una persuasione in tutti d’essere nella gioia, nella gloria della gioia, tutti a un culmine irripetibile. Qualche ora prima la senatrice Paola Taverna, da civile impiegata in un poliambulatorio di analisi cliniche, aveva definito l’ex presidente del Consiglio Berlusconi “un delinquente abituale e recidivo seduto in Senato per architettare reati e incrementare il suo patrimonio”.

Ma Palazzo Madama è gonfio di sentimenti ambigui e contrastanti, è un turbinio disomogeneo e stanco, molti senatori del Pd sono scuri in volto, abbandonano l’Aula in silenzio, cinerei. Le donne di Forza Italia sono vestite di nero, lutto meridionale e caparbio. Gli uomini ruminano fiele, diventano sensibili ai bacilli più miti, e Bondi per poco non viene alle mani con Roberto Formigoni, che sta con Alfano e il governo, “vi faccio tanti auguri perché adesso dovrete governare con questi”. E intanto Pier Ferdinando Casini scuote la testa, si avvicina a un gruppo di giornalisti, poco fuori l’Aula, “non c’è niente da festeggiare”, sussurra. E’ sconfitta la linea di chi aveva tentato di tenere distinto il percorso giudiziario da quello politico, ed è così che il centrosinistra si compiace e si tortura. “Io lo ripeto”, si lamenta Francesco Boccia, che di Enrico Letta è amicissimo, “un paese normale avrebbe aspettato la decisione della Suprema Corte”. E lo pensa anche Luciano Violante, così come, forse, chissà, pure Giorgio Napolitano, il presidente della Repubblica, il contrafforte delle larghe intese. “La fretta con la quale si è arrivati a questo voto è incomprensibile”, sibila Casini. “E’ come se la sinistra provasse un piacere fisico nel passare per giustizialista e giacobina. La Cassazione avrebbe fatto decadere Berlusconi comunque, bastava aspettare”. Ma un paio di senatori del Pd applaudono assieme al Movimento 5 stelle, e l’effetto è straniante, tutto si confonde in una incongrua polifonia. Ed è difficile ascoltare un’orchestra di sentimenti tanto furiosa, di violoncelli in calore e timpani cupi, ripetitivi, vogliosi di rissa o di requie, in cerca di pace o di vendetta, gonfi di rimpianto o di odio. “La politica si pentirà d’essersi arresa alla magistratura”, dice Marina Berlusconi, che ad Arcore attende l’arrivo del Cavaliere, il papà condannato e adesso anche decaduto, eppure non domo. Nel manicomio dei suoi contegni, nel beccheggio ininterrotto della sua indole imprevedibile, di fronte ai militanti di Forza Italia radunati sotto casa sua, a via del Plebiscito, alla fine Berlusconi ieri si è fatto largo nel folto di parole già dette e sentite per agguantare il nocciolo d’una giornata di mestizia novembrina. “Non finisce così”, ha detto. “Non mi ritiro in convento. Si può essere in politica senza sedere in Parlamento, come Grillo e come Renzi”. Le bastonate degli anni non sono valse a togliergli una pellicola di ribalda innocenza che lo protegge, come la buccia d’un frutto, e si mischia nei suoi atti a un’aria di malinconia ludica. “Ma oggi con Berlusconi decade anche la democrazia”, dice Daniela Santanchè, con un lampo di rancore. Gli uomini e le donne del berlusconismo sono infiammati, Forza Italia è tenuta insieme da un’animazione palpabile, l’opposizione, adesso, sarà per loro una rincorsa verso la campagna elettorale, “ripristineremo le regole”, minaccia oscura la Pitonessa. Ma tra tante fronti accese d’estasi furibonda è quella del Cavaliere la fronte più accigliata eppure insondabile. Cosa farà? “La campagna elettorale”, esulta Renato Brunetta, “ci sono dei grandi temi che riguardano la crisi economica e la costruzione dell’Europa”. Ma Berlusconi non ha dato indicazioni chiare, asseconda la baruffa tra i suoi sottoposti e i ministeriali di Alfano, ma non rompe con il suo lontano Delfino, evoca l’elezione diretta del presidente della Repubblica, ma non cita mai Giorgio Napolitano, parla della sua decadenza con una spina d’apprensione in fondo al petto, ma non riproduce la grammatica esplosiva dei suoi parlamentari. Forse aspetta ancora qualcosa, la mossa delle procure che tanto teme, un gesto del Quirinale? Chissà.

FQ. di Salvatore Merlo   –   @SalvatoreMerlo, 28.11.2013

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