La decadenza del Cav. spinge Renzi verso

 l’imbuto lettiano. Un conto sono i cento metri,

con tutta l’energia esplosiva indirizzata verso quel percorso breve, fulmineo, istantaneo, e con tutta quella voglia di scaricare la propria potenza nell’immediato, Adesso, e non tra un anno, due o chissà quando. Un conto, invece, sono i percorsi come i tremila siepi, le corse lunghe, le distanze infinite, e tutti quegli ostacoli e quelle barriere mobili e quelle vasche d’acqua posizionate qua e là sulla pista che gli atleti, e in questo caso i politici, possono affrontare solo dopo aver portato a termine un lungo allenamento in cui, più che la forza esplosiva dei muscoli, conta la capienza del torace. Ecco. Tra gli elementi di riflessione legati alla convulsa giornata di ieri, con la contemporanea uscita di Berlusconi dal Senato e la conseguente uscita di Forza Italia dalla maggioranza certificata nella notte dal voto contrario alla Legge di stabilità, per il governo guidato da Enrico Letta, e per il Pd a breve guidato probabilmente da Renzi, si apre una fase complicata in cui gli ingredienti che compongono la nuova grande coalizione ci dicono un paio di cose importanti. Ovvero: che la grande coalizione è morta, che le larghe intese sono state sostituite da piccole intese, che il peso del governo è tutto o quasi sulle spalle del Pd, che dal nove dicembre, il giorno dopo le primarie del Partito democratico, chi si dovrà far carico di questo peso non sarà soltanto Enrico Letta ma sarà soprattutto il nuovo segretario del Pd e che da oggi in poi, per il Pd, sarà più complicato continuare a bombardare il governo considerando che quello che ha di fronte a sé non è più il governo delle larghe intese ma è quasi interamente un governo a trazione Pd (e un governo che tutto sommato non è così diverso da quello che il Partito democratico immaginava di formare prima delle ultime elezioni).

Enrico Letta ieri, nel giorno dell’esecuzione parlamentare del Cav., nel giorno in cui il Partito democratico ha certificato ancora una volta che il suo collante principale si chiama antiberlusconismo, ha detto con invidiabile ottimismo che dopo le primarie convocherà il nuovo segretario del Pd per aprire un confronto che già immagina che sarà sicuramente “positivo”. Al di là della grammatica della diplomazia è un fatto che la decadenza di Berlusconi (e l’uscita di scena di Forza Italia dall’area di governo) apra nei rapporti tra Letta e Renzi una fase completamente nuova e potenzialmente esplosiva che però preoccupa solo fino a un certo punto il governo dell’ex vicesegretario del Pd (e il suo grande angelo custode quirinalizio). Ragionamento di Letta: se da oggi il governo è un governo sostanzialmente del Pd, non è pensabile che il segretario del Pd tolga la fiducia a quello che, volente o nolente, sarà comunque il suo governo. Chiaro no?

Letta, insomma, è convinto che – al netto di tutti gli ultimatum e di tutti i finish offerti dal sindaco di Firenze – Renzi sia costretto a far sua in modo coatto l’idea che il suo destino, e in buona parte il successo del Pd, saranno direttamente collegati al successo del governo. Ma questa equazione apparentemente lineare presenta un punto di debolezza importante che in fondo fotografa bene l’imbuto in cui rischia di infilarsi il Rottamatore. La forza di Renzi – e una delle ragioni principali che porteranno centinaia di migliaia di persone ad andare a votare l’otto dicembre – è quella di essere percepito da una buona parte dell’elettorato come il possibile rottamatore del governo Letta e come il possibile punto di mediazione tra il Pd che vuole governare, certo, ma anche quello che non vuole farsi rubare la scena dell’opposizione a Letta e Alfano dai compagni del Cinque stelle. La fine delle larghe intese, invece, spinge Renzi verso una posizione più governativa e lascia a Grillo e a Berlusconi il ruolo appetitoso di fustigatori unici delle nuove piccole intese. Riuscirà Renzi a resistere alla tentazione di raggiungere su quel terreno il Cav. e il comico genovese? A denti stretti, e fuori dai taccuini, i renziani, che fino a qualche ora fa promettevano di voler far ballare il governo un minuto dopo l’elezione di “Matteo”, ammettono che la situazione si complica, che i centometri sono diventati quasi una maratona, che il governo adesso può cadere solo per mano di Renzi, e non più del centrodestra, e che per questo il vero punto, per il sindaco, è che sarà costretto a fare un accordo con Letta per evitare che il governo abbia – orrore – un orizzonte che vada al di là del prossimo anno. L’imbuto di Renzi in fondo è tutto qui e si capisce perché in queste ore i lettiani (e gli anti renziani) si stiano leccando i baffi: il sindaco si ritrova di fronte un percorso stretto, e non più un’autostrada, deve cominciare a fare concorrenza ai grillini da una posizione non di lotta ma di governo, deve accettare di essere l’azionista principe delle nuove intese, deve imparare a guidare il Pd senza prestare attenzione ai sondaggi e – soprattutto – deve convincere le persone che lo hanno votato per far emergere un’alternativa a questo governo che il tempo dell’Adesso in realtà è un formidabile Dopodomani. Sorridono a Palazzo Chigi: “C’è poco essere da allegri, ok, ma da oggi la parola finish direi che si addice più a chi voleva far cadere il governo che a chi questo governo lo guida”.

FQ. di Claudio Cerasa   –   @claudiocerasa, 28.11.2013

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